07 Maggio 2015
Dopo averla incontrata nell’individuale e intima lettura del suo Diario (1941- 43), sì è parlato molto di Etty Hillesum nel gruppo di lettura. Una giovane donna ebrea veramente speciale che ha lasciato in queste pagine una esemplare testimonianza di sé! Fornendo innumerevoli spunti dai quali attingere e sui quali riflettere. Nelle illuminate frasi del diario, testimonianza del maturare di una forza interiore – qualcuno del gruppo la definisce “sovraumana”, raccogliamo stimoli e incoraggiamenti per una quotidianità migliore e indicazioni e insegnamenti per un vivere qualitativamente alto. V’è ammirazione per un’ esemplarità di vita, si tanto umana – la cogliamo nelle sue innumerevoli, altalenanti, contraddizioni – , ma che si mostra soprattutto come affermazione di un “oltre”. La scrittura è ovviamente diarista, spontanea ma molto curata poiché ella ne fa esercizio per quel talento, quel voler scrivere, che è sua ambizione personale; il tempo la tramuterà invece nella necessità di lasciare prova di una tremenda Storia comune vissuta e nella testimonianza della propria soluzione personale, compresa e raggiunta.Lei stessa la indica come unica “cura” per vivere la vita e la Storia.
Veniamo a imbatterci in Etty esuberante e caotica nel marzo del 1941 ad Amsterdam, ma in lei che pure ama molte cose sembra abitare un’infelice inquietudine, è alla ricerca di “senso” e di “forma”, vuoti che la famiglia d’origine possiede e tramanda. Etty ha da poco incontrato l’ammaliante Julius Spier, è conquistata dalla “libertà interiore“ che quest’uomo più grande di lei emana per intelletto e cuore. Un uomo che prega e “contiene tutto il male e il bene del mondo”, che ha forza e amore in sovrabbondanza da donare. Così Spier diviene per lei il punto cardine e quel “Ostetrico dell’anima” capace di avviarla in quel sentiero che la condurrà nel tempo brevissimo di due anni, – e le circostanze storiche esterne la favoriranno – alla ricomposizione e affermazione di quel sé compiuto che le permetterà di avviarsi cantando verso il destino di Auschwitz. E lui a parlarle di Dio e della forza creatrice, della preghiera -fondamentale per lei nel suo percorso- , delle scintille di eternità che l’umanità e ognuno di noi possiede. E’ un rapporto, il loro, che nasce dal bisogno di cura e chiarezza ma che si caricherà, poi, di molti significati e trasformazioni sino a trasportarli nella dimensione di compagni d’ anima. All’inizio c’è forte attrazione, -quella terapia in forma di lotta!-, sensualità e ripulsa e a lungo un forte desiderio di possesso da parte di Etty che la porterà a riflettere sul suo essere donna, sul bisogno tutto femminile di “eternarsi nell’uomo” suo “centro assoluto”. Lei stessa desidera essere l’unica per lui ma in lei vi è anche la consapevolezza di non volere che lui sia l’unico per lei ed ugualmente affermare di se stessa d’essere “fedele a tutti”. Poi tra ricadute molto umane, il possesso s’attenua, lasciando spazio ad un amore che è scambio di bene e bontà che rende liberi e allo stesso tempo avvicina. Questo le fa scrivere : “E ora che non voglio più possedere nulla e che sono libera, ora possiedo tutto adesso”, è così “colma di amore” che si chiede perché darlo ad unico… perché non “darlo a tutti” Ugualmente però ci sono in Etty ritorni e ricadute, contraddizioni che la rendono simpaticamente umana e vicina; contrasta in lei quell’incapacità ad avere vicino la sofferenza dei suoi familiari o di Spier, quella “viltà” riconosciuta preferendo “pregare per loro da lontano” ; c’è dicotomia anche tra le motivazioni che la inducono ad abortire, il non voler trasmettere tare familiari – sulle quali influisce anche il contesto epocale fatto di soprusi e privazioni- lei scrive: “La vita è un calvario” e “voglio risparmiargli il dolore di percorrere questa valle di lacrime” tutto questo stride, come un lettore puntualizza, con ciò che andiamo a leggere poche righe oltre: ”… la vita è grande e buona e attraente e eterna”. Dissentiamo invece dal severo giudizio che Etty dispensa alle folli madri che si disperano solo per i propri figli, e che rafforza citando dalla Bibbia: “..se tu mi ami devi abbandonare i tuoi genitori” ma l’esperienza genitoriale, ridotta anche alla sola naturalità, mostra un’istinto primordiale di salvaguardia della propria specie. Eh! la nostra egocentrica vita, molti la vivono solo così: in modo meschino. Questo Etty coglie tra i colleghi della Commissione ebraica, le debolezze all’interno del campo di smistamento di Westerbork in cui lei è entrata spontaneamente per condividere il destino del suo popolo. Lei ha la forza di guardare in faccia il dolore, contempla la forza dignitosa di alcuni nella sofferenza e ama in ognuno “un pezzetto di te mio Dio” vuole essere per i cuori devastati “il cuore pensante”: sebbene lei si dichiari felice e grata a Dio per la vita che le è stata data di vivere. Spier è morto da poco, i suoi genitori sono li a W. in attesa di partire per Auschwitz e lei dichiara che ”la vita è bella e ricca di significato” e qui la frase che riassume l’anima del libro, la sua anima: “si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite”. Com’è possibile? Come s’arriva a non odiare, disprezzare questo atroce nemico pensando anzi alla possibilità di aiutarlo? Ecco il suo altruismo. Aiutare, se possibile, a raggiungere quel cuore pensante che vede più in là, come è successo a lei trasformata da un percorso che le ha fatto esperire l’individualità personale inglobata in una collettività che è parte o è tutto di un unicum. Cranio del cosmo. E’ forse Dio, Energia creatrice, Coscienza Archetipa, Spirito Vitale? Che i nostri pezzetti di eternità hanno il compito d’aiutare, comunque Vita. Alla commissione ebraica, dove lavora, le diviene chiaro il destino di massa del popolo ebreo “la fine che ci vogliono far fare” e lo accetta. Ha compreso, illuminanti i piedi doloranti simili a quelli di altri che son venuti prima e che verranno dopo, che il dolore si ripete sempre nella storia del mondo e che “a ogni giorno basta la sua pena”, ma nella storia della vita sa che c’ è contemporaneamente anche tanta bellezza, lei ama la rosa che comunque fiorisce e il gelsomino che profuma e i colori che spazzano il grigio della cupezza. Non si può accettare e godere solo la parte bella della vita, vivo e sono obbligata ad accettare il “tutto compreso”, nella realtà non v’è rinuncia, a volte solo un necessario abbandono: le cose che ho goduto poiché le conosco esistono ancora. Quello che ci stupisce non sono le parole ma come Etty le viva, la sua incredibile capacità di mantenere “intatto e gioioso” un sentimento ”in cui sono compresi tutti i dolori e tutte le passioni” e poi contemplare la bellezza di in un arcobaleno dietro il filo spinati del campo! Essa è sempre grata alla vita e ad un Dio tutto suo, “ha dissodato” in se stessa “vaste aree di tranquillità” e vorrebbe essere in grado di “ irraggiarle anche sugli altri”. La sensibilità spirituale di Etty cresce e il suo dialogo con Dio lascia perplesso più di un lettore che non riesce a identificare questo Dio non istituzionalizzato in quanto a volte lei ne parla come “il luogo più profondo in cui mi riposo, io lo chiamo Dio”e ancora “la sorgente originaria che abbiamo dentro di noi, e che io chiamerò Dio” – si rimane qui nella coscienza profonda e nell’immanenza; altro sembra quando i dialoghi si infittiscono e lei ritrova pace e armonia in un Dio a cui si da nel gesto intimo della preghiera e nelle cui braccia s’abbandona sino a offrire e a essere, alla fine, lei stessa tutta una preghiera. Arriva a dire e scrivere “la vita è bella e io credo in Dio”, è un Dio trascendente allora? Etty non spiega e non lo chiarisce. Poi all’improvviso una rimembranza che va ad attingere in studi fatti sul personalismo comunitario di E.Mounier e per me tutto si ricompone, ho trovato sintonia e similitudine con la trasformazione di Etty e con un senso. So che posso tediarvi ma vorrei tentare di spiegare il perché di questo mio “orientamento”. Nel pensiero di E.Mounier la persona è struttura relazionale e spirituale, la persona è mistero ma noi possiamo vederla attuata quando sceglie d’essere l’uomo generoso della psicologia o l’uomo della grazia nella morale, sempre però è in ugual modo uomo etico. Etty per me è esempio di questa persona, la sua esperienza soggettiva l’ha resa persona completa, e persona luminosa perché si è attuata in un momento storico difficile e con la sofferenza della sua gente. Posso continuare ancora? Riporto allora qui alcune parole, spezzoni di concetti personalistici:
…. la persona non si definisce, perché nella persona ci sono mistero e movimento … la persona… è portatrice di energia creatrice; inoltre c’è una relazione originaria che permette alla stessa attraverso l’accoglienza dell’altro, di emergere e unificarsi attraverso la sua singolare libera scelta di valori e di impegno, tenendosi in tensione ed in equilibrio tra le sue dimensioni. La persona è struttura relazionale spirituale.. . Dialettica tra materia e coscienza .. ha bisogno dell’oggettività dell’altro, quale mediatore della propria soggettività; di una libertà, che benché condizionata, permette l’azione scelta vincendo l’opposizione che è dentro di noi che è di natura morale, permette di personalizzare i valori e contemporaneamente affermare la persona creatrice responsabile del proprio destino; di un’azione impegnata: essa è esperienza spirituale. L’equilibrio delle tre dimensioni esteriorizzazione, interiorizzazione e presa di coscienza portano ad un movimento di superamento in cui la persona riveste di maturazione interiore il suo impegno verso l’esterno e l’io realizza una vita personale in cui l’affermazione di sé si trasfigura in una capacità creatrice suscitata dall’appello di una vocazione a lato ( a fianco) la presenza di altri uomini.
Autore
Etty Hillesum nasce nel 1914 in una famiglia della borghesia intellettuale ebraica. Muore ad Auschwitz nel novembre 1943. Questo suo diario, fortunosamente salvato, è stato pubblicato nel 1981.