Camminare guarisce di Fabrizio Pepini

07 Giugno 2018

Fabrizio Pepini l’autore di Camminare guarisce, libro adottato per l’incontro di giugno, non è uno scrittore,  ma un uomo che nella malattia e nel cammino ha trovato una nuova e più vitale dimensione di sé e  che nel raccontare, aiutato dall’amico Massimiliano, la sua personale esperienza  ne fa testimonianza,  “la passa” sperando sia ad altri d’aiuto. Fabrizio ha da poco ha superato i cinquant’anni è nato in Italia ma da oltre trent’anni  vive in Belgio, era un  grandissimo infaticabile lavoratore nella ristorazione  sino a quando,qualche anno fa un’incurabile malattia, rara progressiva  gli si è  manifesta;fatte tutte le cure disponibili( e tuttora le fa) ma debilitanti decide  di andare a  ricevere il “sacramento del pellegrino” (estrema unzione) a Santiago di Compostela – è uomo devoto ed è stato un’ alpinista ed era arrivato sino al Nepal.-  Inizia così con un Cammino di fede, il primo dei Cammini che lo porteranno a percorrere 17.00 km,  conducendolo a una nuova visione religiosa e a godere appieno della vita. Intanto riacquista  una forza fisica, cosa che ha tenuto lontano in questi anni  le facili recidive della sua  malattia, sa di essere sempre un malato, ma  è convinto che in ogni caso il camminare faccia  bene  perché siamo stati appiedati  per millenni se rimettiamo  i piedi  in cammino, questi  ricordano. N è solo del  benessere fisico  che vuole raccontare    ma del cambiamento interiore che il cammino consente con una tecnica facile, “basta mettere un piede davanti all’altro” impegno e determinazione  nel farsi “pellegrino” che non è solo per fede  ma ”un mettersi in gioco” in un  credo  che apre” al mondo  a chi vuol “provare a rimettersi in discussione” sentendo  il “bisogno di fare nuove esperienze“ sorprendendosi poi di sentire il piacere   “di riportare nel mondo ciò che di buono hanno trovato”. Cosa fattualmente conduce  camminando per  antiche vie Medioevali  il viandante a trasformarsi? Gli  itinerari, benché immersi nella natura, sono duri e faticosi, tantissimi chilometri giornalieri in balia di ogni evento meteorologico e tutto il resto spartano eppure i momenti gravosi sono sopravanzati da tanti altri gioiosi e inaspettati. Nel cammino hai una meta, ma poi ti affidi, sei soli  ma gli altri che  incontri , caso strano “sembrano quelli giusti per te”, è necessario muoversi leggeri e davvero t’accorgi che di poco abbisogni e ricominci così a godere pienamente  delle piccole cose, la doccia calda se senti freddo. Ci si alleggerisce di tutti gli orpelli , quelli di fuori e quelli di dentro, a volte più pesanti  ed è così che  un po’ alla volta diventi  solo “quello che sei” riemergi,  anche se po’ sconosciuto a te stesso,  ti rendi conto che la diversità negli occasionali  compagni di viaggio è un invito alla  tolleranza tra uguali  e che nella vicinanza  il dialogo permette, il  ricevere e il dare di umanità generosa che conforta e accresce..Poi nel  Cammino silenzioso la mente si svuota  e avviene  il “clic” meraviglioso  e  ti percepisci natura., ti senti parte del tutto, ami la vita, il cammino ti fa amare e accettare  la vita.  Nel suo Cammino personale , Fabrizio  “ha guardato con occhi diversi” approdando a una libertà che l’ ha portato verso una religione dell’uomo e della  natura da lui vista “naturalmente buona” il che gli ha dato fiducia sulle possibilità dell’uomo.

Tra i lettori è comune il  sentire  l’accezione consolatoria di questo   libro, il suo essere testimonianza  incoraggiante volta a indirizzare verso i positivi  Cammini. Il testo  comunque risente  della non professionalità dell’autore e per alcuni  le considerazioni filosofiche e religiose del Pepini sono state considerate non spettanti a quest’’opera,  urta un po’ la ”saggezza” esperienziale dispensata che in alcuni lettori  è avvertita come un” troppo” di contro la fragilità sincera e dubbiosa dell’altro dialogante Massimiliano che è apprezzata. Contestata poi    l’affermazione ”La malattia è sicuramente legata al nostro stile di vita” mentre si può  in parte concordare con il pensiero che “se tu credi a quella  cosa , allora funziona” , ma non è certamente solo ”il come vivi” che ti fa ammalare, negando altre possibili cause in tal modo si colpevolizza il malato per la sua malattia. Comunque la lettura è stata piacevole e invitante ,e se per  alcuni di noi  i Cammini sono stati cosa nuova e interessante , sì è svelato  invece durante il dibattito  che molti lettori  camminano, chi  in piccoli e rigeneranti mattiniere e quotidiane  passeggiate  o in reiterati Percorsi  montani,  per ritemprare  corpo e  spirito effetto raggiunto anche in necessari cammini lavorativi,   basta un’andare a piedi  e  avere occhi  accoglienti. Ma è con il racconto di  una lettrice che ci siamo gradevolmente trattenuti poiché da  due anni-la prima volta per amicizia- ora un proposito  che diverrà costante, zaino in spalla sempre più leggero percorre  a  tratti  la Via Francigena. Ascoltiamo e  lei ci conferma  che in questo tipo di esperienza c’è qualcosa che travalica la fisicità:. la fatica di un  corpo quando la sera raggiunge la meta distrutto e  anelante il riposo  al  mattino dopo  è un  corpo perfetto che vuole  il cammino, vi sono poi gli  incontri e quel sentirsi tra pari, esseri umani disadorni più veri  e dopo giorni e all’improvviso  la bellezza  vera t’ invade, il meraviglioso attimo  arriva ,così diverso dai  propositi de tuo  viaggio,  sei nella natura non solo  contempli ti senti  in un vuoto Natura.  Ecco nel viaggio a poco  poco  conosci più te stesso .Poi la sorpresa, l’alettante invito della lettura, ha raggiunto chi questo testo ha proposto, poiché le  vicine ferie, daranno ’inizio al suo  del Cammino di San Giacomo di Compostela, e  forse anche   progetti  futuri e comuni nasceranno tra queste due lettrici amanti del Cammino. Per chi non può concedersi di farlo… una benevole invidia  perché un po’ consapevoli che il mettersi a piedi nei Cammini  è occasione di un benessere che agevola i cambiamenti sentiti da molti di noi  insiti  nel Viaggio intrapreso a cavallo  della vita.

Autore

Fabrizio Pepini

 


Genere: Diario

Milioni di Farfalle di Eben Alexander

04 Gennaio 2018

Al club di lettura si comincia il   nuovo anno   con un  libro  molto particolare “Milioni di farfalle” scritto dal neurochirurgo Eben Alexander per testimoniare  – dopo una  meningite batterica da Escherichia coli  e un coma durato sette giorni –  un’ esperienza di pre-morte (NDE) -,  e come questa l’avesse traghettato  dal professato scetticismo razionalista alla certezza di Dio e della vita oltre la morte. Egli riferisce di aver fatto conoscenza del Paradiso. Argomento  ostico da trattare, negato in toto da chi  dentro il cervello considera che la coscienza sia solo un fatto  d’impulsi elettrici neuronali e ugualmente osteggiato da fedi religiose che non ammettono un sovrannaturale diverso da quello loro professato. Moltissimi, dunque, anche nel gruppo di lettura,  anche e per motivazioni diverse, quelli che a questo tema non accordano fiducia. C’è stato chi non si è sentito attratto dal testo, altri che  dopo l’iniziale curiosità se ne sono comunque allontanati  delusi da quanto l’autore andava scrivendo. Qualcuno invece ha trovato la lettura di questo testo  stimolante avendogli aperto la strada a ulteriori approfondimenti. La scrittura invece è apparsa piatta nei  troppi  aneddoti  riguardanti  l’edificante famiglia dell’autore e di contrasto difficoltosa per l’uso eccessivo di  una  terminologia molto specifica scientifica, medica  e di fisica moderna. Ma in realtà è stato il racconto di questa esperienza quello che non ha convinto i lettori, essendo stato percepito come qualcosa di non autentico, quel riferire  di un  Mondo dove sono state date risposte  a noi poi  però poco chiarite.  Invece le immagini del Verme oscuro in alcuni lettori hanno provocato ansia, la Via Maestra  con le sue nuvolette e farfalle ha fatto invece sorridere  e ciò che succede nell’Utero Cosmico…  illustri predecessori lo hanno riferito con ben altro pathos. Insomma  lui ha avuto risposte in quel Paradiso  e noi sentiamo riferire solo di Amore. Nulla di nuovo si aggiunge a esperienze che sono state già  provate anche senza l’aspetto involontario  della pre-morte. Tutte le religioni misteriche e le filosofie esoteriche   attraverso riti d’iniziazione portavano gli adepti a esperire  la visione della Divinità “in rapporto cosciente con le forze occulte dell’universo”. I mistici di tutto il mondo nelle loro estasi “uscir fuori da sé” – aiutati dai digiuni –  e gli stessi  sciamani   – aiutati da allucinogeni –   sperimentano “altre realtà e trasposizione di coscienza”  e possiamo  aggiungere che quei “viaggi nell’aldilà” sperimentati da tanti illustri e grandi personaggi  assieme a tante misconosciute persone che  sono accomunati tutti da alcuni elementi comuni e in modo speciale  la sensazione di pace e serenità, l’incontro con esseri luminosi in un altro spazio e tempo e ..amore totale. E tutto questo stupisce di là di qualsiasi certezza  scientifica o sovrannaturale. Ciò che  tenta di fare nostro  dottore  neurochirurgo è portare una prova scientifica dell’essere stato in Paradiso, nel riferirci la sua esperienza -secondo lui diversa poiché  pur avendo coscienza di esserci era manchevole della sua identità terrena – dice di aver sperimentato quel  fatto (essere in Paradiso) con  una coscienza vigile mentre con la sua malattia – ed ecco la differenza- nel suo cervello  era stata compromessa l’attività superiore, dove ha origine la  coscienza “fisica”.  E se i collegamenti elettrici “si erano completamente interrotti”  lui si trovava in un coma profondo. Fatto questo smentito dalla dottoressa che l’aveva preso in carico all’ospedale; la stessa, infatti, riferisce di un coma farmacologico indotto da farmaci ipnotici e quindi questa esperienza NDE potrebbe essersi verificata nello stato allucinatorio vicino al risveglio, dunque non con la corteccia cerebrale “completamente spenta” come asserisce il dottor Alexander. Per la scienza quindi la sua esperienza  in un al di là  che dice  con coscienza vigile a  neuroni spenti non è possibile, non è prova scientifica. Ma a rendere  meno credibile  il neurochirurgo Alexander  è  che sì e venuti a conoscenza di comportamenti scorretti  anche nell’esercizio della sua professione.

Ma a prescindere da prove scientifiche che certificano la fisicità  del nostro mondo,  non  si può negare  che  esistano alcuni  “processi anomali di trasferimenti di energia e informazioni” che non hanno ancora una spiegazione biologica o fisica certa . Sono  tuttora mistero, eppure sono le persone a sperimentarle, possiamo dunque aggiungere alle esperienze di NDE  anche la telepatia, la chiaroveggenza ecc? Se poi si volesse dar credito allo studio  condotto  da Pin Val Lommel  sulla coscienza  che  l’ha portato a concludere e dichiarare che questa non coincide “ né con le irrilevanti attività celebrali, né come epifenomeni delle stesse (quasi a dire  stati di coscienza totalmente separati dal corpo)” . Oppure credere all’opposto, ciò che  la ricerca scientifica abbia individuato come coscienza  è  un   neurone   gigante  che  avvolge il cervello in una rete connessa di circuiti  celebrali  un luogo fisico questo che però  non dimostra né questo né il sovrannaturale .Abbiamo solo esperienze  personali.. Tornando ora al testo dell’Alexander quello che mi ha destato interesse è stato il collegamento che egli fa tra coscienza e  fisica moderna, soprattutto la meccanica quantistica. Quest’ultima   ha rivoltato con  il “principio di non località” tutta la fisica  delle proprietà  reali e misurabili portandoci in un al di là  poco conosciuto  perché  “la non località causa un effetto fisico  su un corpo senza toccarlo”. E’ l’intreccio  quantistico  dove ciò  che accade a una particella elementare   accade anche all’altra gemella pur se  vengono allontanate tra loro. Inoltre   quando si  osservano i fenomeni subatomici – particelle ultra-piccole – è impossibile separare completamente l’osservatore  dall’oggetto  dell’osservazione. Ma noi viviamo quotidianamente  nella relatività spazio-temporale, dove vediamo gli oggetti  separati e indipendenti mentre nel super-piccolo  ogni oggetto dell’universo fisico è strettamente connesso con l’altro  così nella realtà  “non ci sono oggetti ma energia e relazioni”. L’ipotesi di Alexander ci invita  a “combinare  la legge della meccanica quantistica con quelle della relatività” – a tutt’oggi ancora  indimostrabile-  tenendo conto della coscienza;  l’intreccio tra coscienza e meccanica quantistica  che non separa lo sperimentatore dall’esperimento  secondo lui può spiegare  la realtà con la coscienza perché questa  “è  la base di tutto ciò che esiste”.  Pensiero in realtà fatto per analogia ma intrigante! Quello  che comunque sorprende in quest’uomo,  e non positivamente, è il suo non essergli bastato quell’esperienza  Paradisiaca,   ma l’ aver  cercato nuovamente , con innovative tecniche tecnologiche di  meditazione profonda  – la Hemi Sync -,   ulteriori immersioni  “in un regno simile a quello già visitato “. Comportamento questo che si diversifica da altre esperienze  che come lettori  del gruppo abbiamo già incontrato. Bastevoli queste  a rendere il resto della vita di chi le sperimentò armonica e fiduciosa. Forse per questo quel respiro autentico nel neurochirurgo Alexander  non ci ha raggiunto.

Autore

Eben Alexander  è un neurochirurgo americano, da più di quindici anni professore alla Harvard Medical School di Boston. Nel 2013 è pubblicato per i tipi Mondadori Milioni di farfalle. Il Paradiso esiste, ci sono stato, in cui descrive la sua esperienza pre-morte; e dell’anno successivo è La mappa del Paradiso, scritto con Ptolemy Tompkins sempre per Mondadori


Genere: Diario, romanzo

Ti respiro nell’aria di Monica Albin

05 Novembre 2015

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All’incontro di giovedì 5 novembre era con noi Monica Albin,   autrice del libro da noi  scelto: Ti respiro nell’aria.  Un titolo vero,  delicato eppur intenso, al suo interno, scandito da  brevi frasi a volte toccanti, l’omaggio a una vita e una  relazione rara  e vitale tra due donne, una nonna Wilia e la nipote Monica. C’è – assieme nei ricordi -,  il viaggio in un tempo che non si vuol perdere rincorrendo tra i luoghi i comuni e lieti vissuti.  Ricordi che trasferiti in uno scritto, la trattengono lasciandone  memoria ad altri perché  altrimenti “non siamo mai esistiti se nessuno ci racconta”. Lentamente  affinchè  il dolore si stemperi in  quel  lutto,  che  ha privato  l’autrice  dell’ombra preziosa da  sempre   suo schermo e riparo e  ora invece solamente al suo fianco. Una nonna rara la sua, tra loro una scelta irrinunciabile perché  richiamo di anime.

Wilia nasce nel 1914 e muore nel 2004. Una vita non  indenne da sofferenze e dolori vita  ma che appare    favorevolmente vissuta e che l’autrice ci invoglia  seguire  tra i  salti temporali che  illustrano anche un   ricco tempo Storico: il ‘900.. Tempo che  Wiilia attraversa, sostenuta dal  carattere forte e  da una  personalità liberà e fantasiosa  che le permetterà di intraprendere  un lavoro originale, creativo. Gli apprezzati   moderni ed etnici gioielli    che la ripagano con il benessere  economico e  quel rimanere   piacevolmente legata a  un mondo dorato, sospeso. Bella donna,  sempre elegante – quei  guanti! lunghi e in tinta – , una determinazione arguta  e generosa, di propria volontà ( alla morte prematura del padre) ha lasciato l’Università per permetterla al fratello. Monica poi ce la fa intravedere e  presenta in molti momenti: quelli comici,  generosi, sereni e… poi quello triste. Abbiamo sorriso nei tanti episodi  della fanciullezza e adolescenza di Monica: i rosati compleanni,  le nuotate sopra un mare-pavimento di coriandoli, viaggi a quattro ruote  rocamboleschi e pericolosi – in bilico sopra il burrone, l’esilarante ricerca della dentiera sul treno. Lei  non perdeva mai la faccia né il sangue freddo, brillantemente o spiritosamente  tutto risolveva: “è colpa del gatto” se  sbatteva maldestramente la macchina  o versava il vasino, sì  della tris nipotina, ma colmo della sua pipi fuori dal finestrino dalla macchina trasportata  dal carro attrezzi in corsa .. Grande spirito  d‘iniziativa, briosa  o come la definisce Monica “nonna vulcanica” . Capelli rossi e stivali, ed eccola!  piacevole e non stonata compagna  nei viaggi  scolastici di una adolescente nipote. O l’originale trisnonna che  si presenta al pubblico ospedale  con aragostina bollita e Moet  Chandon mignon per ritemprare  la  sua cara puerpera. Grande amica e complice di Monica ora cresciuta ma tra loro sempre il  piacere di condividere   interessi e pensieri. Poi la lontananza  da Roma dell’autrice ormai medico sposa e madre e,  il tempo che  impone a Wilia  il declinare tra compagne penose e tristi:, quel non vedere che le impedisce  la cara lettura e  le gambe che  scelgono   la perenne poltrona. Tarpata, preclusa anche nelle” piccole cose che sono comunque la  vita”. Ormai diversa, talmente cambiata, distaccata, lontana, già volta a oriente  verso il traguardo  e, il  nonsaluto  – quel volto  che non si gira-   riservato a Monica è l’ultima richiesta di  non essere trattenuta dall’amore. Il suo è un funerale officiato al ribasso da un prete cui non si sapeva di dover pagare l’obolo ma che il grande affetto  di Monica  riscatta. Lei  fa passare attraverso  la lettura  di alcune confortevoli  e comprensive  righe, tratte dalla scrittrice Melania  Mazzucco, e poi da parole che le escono dal cuore, commozione e una Wilia   nuovamente integra,  una “attrice” nella sua vita, una donna da cui ci si accomiata porgerndole tributo.

Nasce così questo libro,  dall’amore e dolore , dal desiderio di trattenere nonna  e  cominciare a lasciar andare il dolore, raccontando. Monica scrive di una vita  e di se stessa, non sono le fotografie ad aiutarla   ferme in attimi di vita alla superfice di noi stessi, ma intime  volute immagini  ancorate a luoghi, scelte tra i ricordi del cuore. E c’e un luogo  dall’odore salmastro, del quale più volte  lei e nonna  avevano condivisa la magia: Venezia ,avvolta di nebbie e tramonti  e…-bellezza morente,  ed è proprio qui che un giorno Monica ne sente la presenza, la “respira nell’aria”.

In alcuni lettori del gruppo questo libro  ha rimescolato ed emozioni legate a loro  personali vissuti: la morte prematura del padre, la vecchiaia e il lento accomiatarsi  dalla vita e dai propri cari,  smuovendo talune sofferenze sopite e represse o alleviando in altri di poco il dolore. Ma consolante è sperare, come Monica ci segnala, che  è  in  noi la possibilità di ospitare chi ci è stato caro perché  “l’anima trova dimora nel cuore di chi ci ha voluto bene”.

 

Autore

Monica Albin è nata a Roma , dove si è laureata in medicina e specializzata in endocrinologia . Vive nel trevigiano.

 


Genere: Diario, romanzo

Diario 1941- 1943 di Etty Hillesum

07 Maggio 2015

Dopo averla incontrata nell’individuale e intima lettura del suo Diario (1941- 43), sì è parlato molto  di Etty Hillesum nel gruppo di lettura. Una giovane donna ebrea veramente speciale che   ha lasciato in  queste  pagine  una   esemplare testimonianza di sé! Fornendo innumerevoli spunti dai quali   attingere e  sui quali riflettere.  Nelle  illuminate frasi del diario,  testimonianza  del maturare di una forza interiore –  qualcuno del gruppo la definisce  “sovraumana”,  raccogliamo stimoli e incoraggiamenti per  una quotidianità migliore e indicazioni e  insegnamenti per un vivere qualitativamente alto. V’è ammirazione per un’ esemplarità di  vita, si tanto umana –  la cogliamo nelle sue  innumerevoli,  altalenanti, contraddizioni – , ma che si  mostra   soprattutto  come affermazione di un “oltre”.  La scrittura è ovviamente diarista, spontanea ma molto  curata poiché ella ne fa esercizio per quel talento, quel voler  scrivere, che è sua  ambizione personale; il tempo  la tramuterà  invece  nella necessità  di lasciare     prova di una tremenda Storia comune vissuta e nella testimonianza della propria soluzione personale, compresa e raggiunta.Lei stessa la indica come unica  “cura” per vivere la vita e la Storia.

Veniamo a imbatterci in Etty esuberante e caotica nel marzo del 1941 ad Amsterdam, ma in lei che pure  ama molte cose  sembra abitare un’infelice inquietudine, è alla ricerca di  “senso”  e di “forma”, vuoti  che la famiglia d’origine possiede e tramanda. Etty ha da poco incontrato l’ammaliante Julius Spier, è conquistata dalla  “libertà interiore“ che quest’uomo più grande di lei emana per intelletto e cuore. Un uomo che prega  e “contiene tutto il male e il bene del mondo”,  che ha forza e amore in sovrabbondanza da donare.  Così Spier diviene per lei il punto cardine e quel “Ostetrico dell’anima” capace di avviarla in quel sentiero che la condurrà nel  tempo brevissimo di due anni, – e le circostanze  storiche esterne la favoriranno – alla  ricomposizione e affermazione di quel sé  compiuto che le permetterà di avviarsi  cantando  verso il destino di  Auschwitz. E lui a parlarle di Dio e della forza creatrice, della preghiera -fondamentale per lei nel suo percorso- , delle scintille di eternità che l’umanità e ognuno di noi possiede. E’ un rapporto, il loro,  che nasce dal bisogno di cura e chiarezza  ma che si caricherà, poi,  di molti significati e trasformazioni  sino  a trasportarli nella dimensione di compagni d’ anima. All’inizio c’è forte attrazione, -quella terapia in forma di lotta!-, sensualità e ripulsa e a  lungo  un  forte desiderio di possesso  da parte di Etty che  la   porterà  a riflettere  sul suo essere donna,  sul bisogno tutto  femminile  di “eternarsi nell’uomo” suo “centro assoluto”.  Lei stessa desidera essere l’unica per lui ma in lei vi è anche la  consapevolezza  di non volere che lui sia l’unico per lei ed  ugualmente affermare di se stessa d’essere “fedele a tutti”. Poi tra ricadute molto umane,   il possesso s’attenua,  lasciando spazio ad un amore che  è scambio di bene e bontà che rende liberi e allo stesso tempo  avvicina. Questo le fa scrivere : “E ora che non voglio più possedere nulla e che sono libera, ora possiedo tutto adesso”,  è  così “colma di amore” che si chiede perché darlo ad unico…  perché non  “darlo a tutti” Ugualmente   però ci sono in Etty ritorni e ricadute, contraddizioni  che la rendono simpaticamente umana e vicina; contrasta  in lei quell’incapacità   ad avere vicino la sofferenza  dei suoi familiari o di  Spier, quella “viltà” riconosciuta preferendo “pregare per loro da lontano” ; c’è dicotomia anche tra le  motivazioni che la inducono ad  abortire,  il  non voler trasmettere   tare familiari – sulle quali influisce anche il contesto epocale fatto di soprusi e privazioni-  lei scrive:  “La vita è un calvario” e “voglio risparmiargli il dolore di percorrere questa valle di lacrime”  tutto questo  stride, come un lettore puntualizza, con ciò che andiamo a leggere  poche righe oltre:  ”… la vita è grande e buona e attraente e eterna”.  Dissentiamo invece dal severo giudizio che Etty dispensa alle folli madri  che si disperano solo per i propri figli,  e che rafforza citando dalla Bibbia: “..se tu mi ami devi abbandonare i tuoi genitori” ma l’esperienza genitoriale,  ridotta anche  alla sola naturalità,  mostra un’istinto primordiale di salvaguardia della propria specie. Eh! la nostra egocentrica vita, molti la vivono  solo così: in modo meschino. Questo  Etty  coglie tra i colleghi della Commissione ebraica, le debolezze all’interno del campo di smistamento di Westerbork in cui lei è entrata spontaneamente per condividere il destino del suo popolo. Lei ha la forza di guardare in faccia il dolore, contempla la forza dignitosa di alcuni nella sofferenza e ama in ognuno “un pezzetto di te mio Dio” vuole essere  per i cuori devastati “il cuore pensante”: sebbene lei si dichiari felice e grata a Dio per la vita che le è stata data di vivere. Spier è morto da poco,  i suoi  genitori sono li a W. in attesa di partire  per Auschwitz e lei  dichiara  che ”la vita è bella e ricca di significato” e qui la frase che riassume l’anima del libro, la sua anima: “si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite”. Com’è possibile? Come s’arriva  a non odiare, disprezzare questo atroce nemico pensando anzi alla possibilità di aiutarlo? Ecco il suo altruismo. Aiutare,  se possibile, a raggiungere quel cuore pensante che vede più in là,  come è successo a lei trasformata da un percorso che le ha fatto esperire l’individualità personale inglobata in una collettività che è parte o è tutto di un unicum. Cranio del cosmo.  E’ forse  Dio, Energia creatrice, Coscienza Archetipa, Spirito Vitale? Che i nostri pezzetti di eternità hanno il compito d’aiutare, comunque Vita.  Alla commissione ebraica, dove lavora, le diviene chiaro il destino di massa del popolo ebreo  “la fine che ci vogliono far fare” e lo accetta. Ha compreso, illuminanti i piedi doloranti simili a quelli di altri che son venuti prima e che verranno dopo,  che il dolore si ripete sempre nella storia del mondo e che   “a ogni giorno basta la sua pena”, ma nella storia della vita sa che  c’ è contemporaneamente anche tanta bellezza, lei ama la rosa che comunque fiorisce e il gelsomino che profuma e i colori che spazzano il grigio della cupezza. Non  si può accettare e godere  solo la  parte bella  della vita, vivo e  sono obbligata  ad accettare il “tutto compreso”,  nella realtà non v’è rinuncia, a volte solo un necessario abbandono: le cose  che  ho goduto poiché le conosco esistono ancora. Quello che ci stupisce non sono le parole ma come Etty le viva,  la sua incredibile capacità di mantenere “intatto e gioioso”  un sentimento ”in cui sono compresi tutti i dolori e tutte le passioni”   e poi contemplare la bellezza di in un arcobaleno dietro il filo spinati del campo! Essa è sempre grata alla  vita e  ad un  Dio tutto suo, “ha dissodato” in se stessa “vaste aree di tranquillità” e vorrebbe essere in grado di “ irraggiarle  anche sugli  altri”. La sensibilità spirituale di Etty  cresce  e il suo dialogo con Dio  lascia perplesso più di un lettore che non riesce a identificare  questo Dio non istituzionalizzato in quanto a volte lei ne parla come “il luogo più profondo in cui mi riposo, io lo chiamo Dio”e ancora “la sorgente originaria che abbiamo dentro di noi, e che io chiamerò Dio” – si rimane  qui nella coscienza profonda e nell’immanenza; altro sembra  quando i dialoghi  si infittiscono e lei   ritrova pace e armonia in un Dio a cui si da nel gesto intimo della preghiera e nelle cui  braccia  s’abbandona  sino a  offrire e a   essere, alla fine, lei stessa tutta una preghiera.  Arriva a dire e scrivere  “la vita è bella e io credo in Dio”, è un  Dio trascendente  allora? Etty non spiega e non lo chiarisce. Poi  all’improvviso  una rimembranza che va ad attingere in studi fatti  sul personalismo comunitario di E.Mounier e  per me  tutto si ricompone,  ho trovato sintonia e similitudine con la trasformazione di Etty e con un senso. So che posso tediarvi  ma vorrei tentare di spiegare il perché di questo mio “orientamento”. Nel pensiero di E.Mounier  la persona è struttura relazionale e spirituale, la persona è mistero ma noi possiamo vederla attuata quando sceglie d’essere l’uomo generoso della psicologia o l’uomo della grazia nella morale, sempre però è in ugual modo uomo etico. Etty per me  è  esempio di  questa persona, la sua esperienza soggettiva  l’ha resa persona completa, e  persona luminosa  perché si è attuata  in un momento storico difficile e con  la sofferenza della sua gente. Posso continuare  ancora? Riporto allora  qui alcune parole, spezzoni di concetti personalistici:

…. la persona non si definisce, perché nella persona ci sono mistero e movimento    … la persona… è portatrice   di        energia creatrice;  inoltre   c’è una relazione originaria   che permette alla stessa attraverso l’accoglienza  dell’altro,  di emergere e unificarsi attraverso la sua singolare  libera scelta di valori e di impegno,  tenendosi  in tensione  ed in equilibrio tra le sue dimensioni.  La persona è struttura relazionale spirituale.. . Dialettica tra materia e coscienza  .. ha bisogno dell’oggettività  dell’altro, quale mediatore della propria soggettività; di una libertà, che benché condizionata, permette l’azione scelta vincendo l’opposizione che è dentro di noi  che è di natura morale, permette di personalizzare i valori e contemporaneamente affermare la persona creatrice  responsabile del proprio destino; di un’azione impegnata: essa è esperienza spirituale. L’equilibrio delle tre dimensioni esteriorizzazione,  interiorizzazione e presa di coscienza   portano ad un movimento di superamento in cui la persona riveste  di maturazione interiore  il suo impegno verso l’esterno e l’io realizza una vita personale  in cui l’affermazione di sé si trasfigura in una capacità creatrice  suscitata dall’appello di una vocazione  a lato ( a fianco) la presenza di altri uomini.

 

Autore

Etty Hillesum nasce nel 1914 in una famiglia della borghesia intellettuale ebraica. Muore ad Auschwitz nel novembre 1943. Questo suo diario, fortunosamente salvato, è stato pubblicato nel 1981.


Genere: Diario