Amatissima di Toni Morrison

09 Luglio 2015 

L’opera, dall’impatto forte, Amatissima della scrittrice afroamericana Toni Morrison narra un fatto tragico ampliato ma vero, descrive luoghi che hanno una storia dolente  e la magia di una lontana  cultura africana. Libro che permette il fluttuare in superficie  dei  molti infelici “dimenticati e inspiegati”, germogli  di storia difficile per la sua gente. Una scrittura all’apparenza semplice  – sono poveri schiavi i protagonisti in un periodo storico  che  precede di poco e segue la guerra di secessione americana- eppure la  struttura  dell’opera mette subito in difficoltà  i lettori per i continui balzi spazio-temporali e l’intersecarsi   di più flussi di coscienza nei personaggi. A volte   scrittura-voce melodiosa dalle belle metafore, in altri momenti  visualizzazione  di atti crudeli ed  estremi  che  spingono a repulsione o a pietas. Certamente scopo dell’autrice è portare a rispettosa  memoria  i tanti  infelici traghettati nelle Americhe, le loro ingiustificabili morti causate   dagli inumani ”uomini senza pelle” che li  sacrificano alla loro ingordigia. Il possesso è il tema che emerge giganteggiando nel libro, il quale contiene  e dispiega  i  molti altri temi: la schiavitù, l’identità, il maschilismo, la genitorialità, il limite e la responsabilità.

Il gruppo esordisce con stupefatta ripulsa per quel buco scavato nella terra a riparare la pancia gravida di Sethe, fattrice di beni  non di sua proprietà; è incisa barbaramente da una frusta che ne aumenterà la forza psicologica, in precedenza pungolata dall’ atto di quegli aguzzini -quel essersi appropriati  del suo latte maternopermettendole ora di fuggire  anche da sola, determinata a ricongiungersi ad ogni costo ai suoi tre piccoli in fuga. Una decisione maturata e lucida, l’ andarsene da Sweet Home – ormai non più la  dolce casa  ove anche i neri potevano credersi “uomini“-  avendo   compreso  che le ridicole misurazioni  fatte dal maestro-amministratore ai loro   crani venivano trasferite  su fogli e disegni  a fronte  di figure animali. Quel che comprende e patisce non lo vuole e vorrà mai per i propri figli. Ed è proprio questo che determinerà in seguito la tragedia dell’infanticidio.  E’ ormai in salvo con la neonata Denver, sulla giusta riva del fiume nella casa dell’amorevole e  ormai  libera suocera Baby Suggs, gli altri bimbi accanto  all’ospitale numero 124 libero da fantasmi quando nell’avvistare chi l’avrebbe ricondotta a Sweet Home pensa di uccidere se stessa e  ”la parte migliore di me”  i  suoi figli. Vi riesce solo con la piccola  di nove mesi  “gattona già” segandole il collo, non vuole che essa abbia  a vivere ciò che lei ha vissuto e lo fa per amore, troppo amore. Ed  è questo che ripeterà sempre a sua giustificazione,     questo è il  concetto che dovrebbe capire  Beloved  “gattona già” quando da  fantasma irrequieto del n. 124,  dopo esserne stato sfrattato  con l’ingresso di Paul D  l’ultimo “uomo“ di Sweet Home, rientrerà  con quel corpo pericoloso, famelico  di dolci e amore. Ma Beloved non potrà comprendere   ha  sempre nove mesi ed è ancora in simbiosi con Sethe,   il suo amore  consiste nel cercare d’ incorporarle la madre perché “lei è la mia faccia”. E Sethe?  Lei alla quale non è stato permesso di essere figlia  accetta  perché lei crede di dover essere nella maternità  anche lei è Beloved la parte migliore di sé  ma anche perché come schiava ha conosciuto solo il possesso e con possesso  ora ama i  suoi figli. Non ha potuto acquisire  la capacità  che gli permette di  definire il limite tra lei e il mondo. Nel gruppo serpeggiano empatia e compassione per Sethe ma anche la difficoltà a giustificare quel gesto perché le esperienze negative che Sethe ha vissuto sono  solo sue  non   quelle di “gattona già” . Chi sa con esattezza  cosa   sarebbe successo alla piccola nel corso della sua vita e l’ animo  con cui l’avrebbe affrontata?

Anche nell’altro  bel personaggio, Paul D , vi sono grossi traumi e sofferenza tenuti chiusi  nella “scatolina” dentro il petto; lui ha visto   cose atroci  perpetrate sui  compagni-fratelli, i veri uomini di cui “andava fiero” ; un tempo il padrone ora  il   maestro-amministratore  li giudica  alla stregua di animali, oggetti da lavoro sopprimibili –con rammarico – se inaffidabili. Ha subito molto anche la vergogna di quel morso alla bocca!  e la gabbia! Lo scoprire il prezzo  che gli si attribuisce,  lui  che considerava solo il valore del suo lavoro. Quando finalmente è affrancato  dalla schiavitù,   diventa viandante pago  del cibo,  del sonno  e soprattutto  di poter gestire liberamente i propri giorni, continua, però, per non soffrire a ”amare tutto solo un pochino” perché  “qualsiasi cosa lo poteva commuoverlo.  Deliziosa è la pagina in cui descrive il suo primo  incontro con le lenzuola, quel commuoversi sino alle lacrime,  fare l’amore con loro e non con  la donna che in quel letto  l’ha accolto. Un’ altra bella immagine di Paul la troviamo nella  notte d’amore attesa venticinque anni, con la ritrovata Sethe   e in parte deludente ”non era poi tanto attraente” ma che si riscatta per quello sguardo  che  Sethe sente : “ la scrutava  con interesse, come se stesse esaminando la bontà di una spiga di grano” non v’è  derisione anzi “le sembrava dolce…paziente.. la giudicava ma non faceva confronti”. Così Paul D. potrebbe diventare quello cui ”affidarsi per lasciare indietro il passato”  e lasciar “baluginare un futuro“. E se po’ Paul D.  deluderà andandosene alla conferma dell’omicidio ha però in sé la capacità di riconoscersi limitato, un uomo che non possiede quella parte maschile così dura  e prepotente, “non è un’accetta“, infatti, lascia scorrere liberamente le emozioni, è la sua parte femminile quella che  “rompe il guscio” per  far nascere il virile gallo di casa. Sarà lui in grado alla fine  di porgere aiuto a Sethe immersa in una letargia mortifera conseguenza del cannibalismo di  Beloved e alla sua scomparsa.   Basta avere la forza di guardarlo  per vedere  in lui la persona che può entrare in una casa e “far piangere le donne” e per sentirlo poi dire che è solo lei “la parte migliore di sé”.

Anche Denver, l’altra figlia che attraversa il cortile del 124, è stata vista positivamente. A lei, che nessun contatto aveva con il mondo circostante, le è stato riconosciuto un  gran coraggio.   In quel cortile Baby Suggs aveva visto spezzarsi il limite di ogni sopportazione e  le sue certezze, Sethe si era confinata per orgoglio, e Denver era vissuta dentro  quel  limite che la madre, i fantasmi, la gente,  la nonna  le avevano mostrato; la nonna però le aveva anche parlato di Halle, l’unico  dei suoi figli che aveva cresciuto e il quale poi  l’aveva resa libera riscattandola, con sacrificio – l’importanza di fare i conti! e l’alfabetizzazione che il padrone gli aveva impartito – . Halle  è il padre, di cui  ha sempre atteso il ritorno, per la paura che la  mamma possa ripetere su di lei quell’antico gesto omicida. E’ sola, le fa compagnia solo il dispettoso fantasma di “gattona già”  e per questo subito  la riconosce  in Beloved  e la ama ma quando si accorge di quanto sia diventata pericolosa,  ha la forza e l’autonomia di andare oltre il cortile e chiedere aiuto.

Una partecipante del gruppo fa notare come la scrittura, il segno,  si trovi spesso menzionata in   questo libro mescolando e i intersecando positività e negatività: atto di vendita, il marchio sulla pelle,  la frusta che disegna l’albero, l’atto che libera, i conti di Halle, l’inchiostro ben fatto di Sethee  usato per scrivere i dati  antropologici, i nomi sui piatti generosi  e la scuola che libera Denver. Possesso, emancipazione, com’è ambigua  la scrittura, com’è ambiguo l’uomo! Rammentiamoci  per un attimo quel piccolo portaoggetti a forma di negro inginocchiato con la bocca spalancata  e  su scritto “Servo Vostro” a casa dei pur generosi fratelli abolizionisti Bodwin. Non sembra ambigua la bianca, generosa e salvifica Amy che aiuta Sethe,   sofferente e stracciona, perché così sembra essere  stata fino  allora anche la sua vita di donna.

 

 

Autore

Toni Morrison, scrittrice statunitense,  è nata nel 1931. Premio Nobel per la letteratura nel 1993, è considerata tra i massimi rappresentanti di narrativa afroamericana degli ultimi cinquant’anni, con Amatissima vince il Premio Pulitzer nel1988.

 

 


Genere: romanzo

I maestri di tuina di Bi Feiyu

04 Giugno 2015 alle  di Bi Feiyu

Un’accogliente curiosità conduce il gruppo di lettura tra I maestri di Tuina, dell’autore cinese Bi Feiyu. E’ la Cina d’oggi che andiamo a incontrare, invasa  dai telefonini  e interessata ai soldi, ma siamo in un piccolo e particolare  microcosmo: il  Centro Maestri Non vedenti di Tuina  Sha-Zongqi.   Questi aspetti sono garanti di autonomia salvifica  per  i membri che la compongono.  Massaggi riequilibranti e  ora redditizi per  i  due soci, i professionisti, le addette all’accoglienza e la cuoca (le sole vedenti). Un mondo all’apparenza tranquillo, ripetitivo ed efficiente; 12-15 ore  (per loro normale!) di lavoro e poi tutti  nel comune alloggio suddiviso in dormitorio maschile e femminile. La scrittura   piacevolmente ironica,  chiara e fluida scorre girovagando tra i  tanti personaggi  a rivelare  cuori che serrano  emozioni e pensieri  – quel mostrare un volto sorridente mentre si è invasi dalla rabbia –.   C’ è una girandola  di  piccoli gesti che intersecando  storie personali smuove ugualmente quel mondo  silenzioso che dalla regolarità trae sicurezza. Il silenzio è  anche nell’amore “…–isolamento nella quiete …che si trasforma in una veglia reciproca”- Vi sono scherzi fanciulleschi nei momenti di libertà e un gran toccarsi per sentirsi vicini, protetti e solidali-  bella è l’ immagine  di  questi adulti che si tengono in fila per mano all’ospedale  o per strada. Dignitosi, onesti e fin troppo orgogliosi. Sarà un caso che i personaggi dalle “virtù” negative  siano i vedenti? L’interessata Gao Wei, la cuoca Jin con le sue preferenziali porzioni di montone e il delinquenziale egoista fratello minore del dott.Wang. V’è poi tra i ciechi del centro una bella diversità  comportamentale tra  chi la cecità  l’ha  contratta  nel corso della vita e chi invece ne è da sempre accompagnato. Il giovane Xiao Ma che la vista l’ha persa a nove anni, dopo un tentato suicidio, si è trincerato in un silenzio più spesso, non contatta il mondo di prima, controlla  le emozioni  e i pensieri degli altri per non aggiungere pena al suo soffrire. Sarà il profumo dei capelli di Xiao Kong , la cognata, ad aprirlo all’emozione e lui  ora “si perde e dimentica tutto il resto” fino ad  arrivare  a quello “sguardo pulito” che farà innamorare di lui la prostituta Piccola Man e forse a riamarla.

Zhang Yiguang,  invece, è l’allegro “imperatore delle concubine”,  come gli piace definirsi,  ha  trentacinque anni e ha perso la vista in miniera… ma è rimasto  esuberante   e  invadente  tanto che gli altri ciechi nel  centro  pensano che  manchi  del  “ senso della misura” ;  sollevato dagli obblighi familiari oggi   è quasi felice. Jin Yan è cieca quasi totale ma lo è diventata  progressivamente permettendole così di incamerare quanto più poteva della bellezza, per lei sinonimo d’amore perché   -“è bello anche da vedere” incarnato nella cerimonia del matrimonio. Conserverà la sua illibatezza per una cerimonia   che dal mondo occidentale  conserva la splendida veste che premia il suo corpo  e da quello cinese  la rossa camera nuziale che esalta la sensualità. Gli altri protagonisti sono da sempre nel buio della cecità  come la bellissima e orgogliosa Du Hong,  così scettica del  mondo  da identificarlo con i  telefonini e le barzellette grasse dei clienti interessati alla sua bellezza. Già delusa da tempo, l’emozione che l’ha tradita al suo debutto come pianista le ha svelato  -quell’entusiastico ”Sublime”- e  le ha fatto comprendere quel che realmente il pubblico voleva da lei:  la capacità di farli commuovere. Per questo non accetta il generoso aiuto dei colleghi del centro dopo l’incidente del pollice spezzato e anche da lì se ne andrà. Povero Sha Fuming  “padrone”, innamorato  non corrisposto, rispettoso e generoso, e tuttavia così onesto da non favorirla perché ”nel lavoro non si può privilegiare” . Si è  infatuato di lei sentendone lodare la grande bellezza da quel famoso regista. Una bellezza così stimata suscita  grande curiosità  in lui che ha letto moltissimo per comprendere pur nel buio il mondo, eppure sa  che non potrà mai conoscerla. Ora   a Sha Fuming  dispiace anche  non aver stipulato con i  dipendenti  dei contratti lavorativi sebbene lui  e il suo socio avessero ventilato di farli quand’erano  ancora essi stessi lavoratori dipendenti. Egli  ha lavorato tanto, “senza distinguere la notte dal giorno” rovinandosi  pericolosamente lo stomaco ma riuscendo assieme all’ex compagno di  lavoro ad aprire quel centro. E’ un bravo amministratore e   gli piace  ora  pavoneggiarsi nel ruolo di “padrone”. Il socio Zhang Zongqi,    lo considera  affidabile ma ambizioso  a lui quel quell’atteggiarsi a unico padrone  un po’ dispiace ma gli piacciono i soldi,  così essenziali a garantirgli l’autosufficienza, e continua perciò – appartato,   discreto, silenzioso e temporeggiatore-  a fare  anche il maestro di tuina. Le inevitabili contrarietà e le piccole frustrazioni  derivanti dalla comproprietà vengono d’ambedue nascoste  in modo che nel centro tutto possa procedere tranquillamente eppure da un intoppo, piccolo all’apparenza, s’arriverà alle due proposte di divisione del centro. L’apparente causa scatenate è il giusto licenziamento della cuoca ma il grosso problema  di Zhang Zongqi  con il cibo rende la cuoca  intoccabile: solo  di lei  si fida per  mettere qualcosa nella bocca. E’ una sofferenza che viene dall’infanzia quando piccolino  ascoltava con terrore  i rumori provenienti dalla cucina, temeva nel cibo il veleno  minacciato dalla cattiva matrigna   per impedirgli di  riferire al padre la    violenta angheria  subita – quel braccino ritorto. Ci volgiamo ora alla  giovane Xiao Kong , promessa sposa del  dott.Wang, lui,  così solido “lui è la sua stufa”,  la proteggerà; lei  lo ha seguito fiduciosa fin  lì  ma ora   le manca la loro intimità, ne è cosi triste che trasformerà inconsapevolmente la sua tristezza in una sorta  di  civetteria – quei toccamenti  scherzosi così consueti tra i ciechi-  che sconvolgerà i sensi e  il cuore  del giovane  Xiao Ma  facendogli ricordare  sognare antiche farfalle e splendidi  cavalli in corsa. Tra i due fidanzati non sempre è  facile dirsi le cose, ricordiamo il  travisato  ’amplesso,  tempo complessivo   1 minuto!, per noi comico – i vestiti  sparsi disordinatamente che creano difficoltà nel rivestirsi frettoloso – per loro squallido che induce a emozioni e considerazioni divergenti. Xiao Kong  poi non ha il coraggio di rivelare alla sua famiglia,  che la vuole  protetta da  uno sposo vedente, la sua relazione; lei  ha avuto nell’infanzia un padre che non accettava la sua la sua cecità , per questo si ubriacava e sotto l’effetto dell’alcool in una sorta di  amore folle e violento la obbligava a forza  ad aprire gli occhi perché dovevano vedere. Il dott.Wang è il personaggio che apre e chiude  questo libro, forte, serio e perbene,   non brilla nel linguaggio e qualcuno nel gruppo lo percepisce scialbo  e incolore ma nel Centro  è chiamato fratello maggiore per rispetto. E’ tornato a Nanchino dopo aver  perso  in Borsa tutti i risparmi,  li ha giocati per amore, voleva tanto che  Xiao Kong dalle dita fragili  fosse presto  padrona  nel   Centro per il cui acquisto lui aveva risparmiato. Ora invece a Nanchino lavoreranno presso il suo antico compagno di studi Sha Fuming. Ci sorprende  quel  solo scatto di ribellione – è persona  così  tranquilla e scrupolosa-,  l’atto   d’autolesionismo che  trasformerà il suo sangue nel “denaro contante” per  saldare   il pericoloso  debito di gioco dell’irresponsabile fratello. Da lui i debiti sono onorati  ma la rabbia non gli ha permesso di farlo con  i   soldi che sono  il faticoso corrispettivo di 3333 massaggi ai piedi. Ama moltissimo Xiao Kong  ma ci sono delle incomprensioni, quel   suo essere così parco di parole  e poi  il riserbo tutto cinese non facilita la  comprensione delle diverse interiorità di genere. Nascono  proiezioni di pensieri  che allontanano ma  poi lui con  delicatezza ne aggiusta il tiro, si amano e  ci sono  due paroline magiche  “quanti siamo?” che subito li riavvicinano. E’ così importante per i ciechi essere in coppia, il matrimonio è sostegno reciproco. Sembrano  possibili matrimoni sereni,  l’autore viene a   suggerirci   che dalla  rossa e sensuale  camera  nuziale  ( la  luna di miele  dura un mese!)  esca alla fine anche   ciò che  veramente è importante,  quel  sentimento di intimità familiare  che sembra distinguere  il   matrimonio cinese. I ruoli  sono così  molteplici: marito e  moglie, fratello maggiore  e sorellina, sorella maggiore e fratellino, in cui fortunatamente protezione e obbedienza si alternano. Ma l’aspetto rilevante  che incontriamo tra le pagine del libro,  in un microcosmo che è  pur solidale,  è la solitudine.  Ce la rende visibilissima  il dott.Wang  allorquando all’ospedale gli chiedono  informazioni sulla salute di Sha Fuming, in quel momento  si chiede angosciato : “Chi è Sha Fuming che sta lì dentro?…. e che vive tutti i giorni assieme a  loro,..   una continuità di vita assieme  eppure sono vuoti che vivono accanto ad altri vuoti”,  ne resta cosi ì folgorato da  supplicare  in lacrime  Xiao Kong di sposarlo al più presto. A noi l’autore l’aveva mostrata, la solitudine, così come  le emozioni nascoste, vite sofferte e  gesti che  ugualmente  le incido cosicché si possa più facilmente comprendere che ogni vita sarebbe migliore se al coraggioso aprirsi d’un cuore  qualcuno con delicatezza fosse lì  pronto ad ascoltare.

 

 

Autore

Bi Feiyu è nato nel 1964 nella provincia del Jiagsu, vive e lavora a Nanchino. Ha vinto due volte il premio per  letteratura  Lu Xun,  e il premio Mao Dun ( 2011) , il maggiore riconoscimento nazionale con quest’opera; è noto a livello internazionale e  il suo romanzo Three Sisters (2012) ha vinto il premio Man Asian Literary Prize negli Stati Uniti.

 


Genere: romanzo

L’arte di ascoltare i battiti del cuore di Jan-Philipp Sendker

02 Aprile 2015 di Jan-Philipp Sendker.

Appena lasciato lo splendido  scritto e la  cupa storia d’amore di Heathclìff e Catherine  il gruppo di lettura s’ affaccia di nuovo all’amore  scegliendo  un libro, sin dal titolo, romantico: L’arte di ascoltare i battiti del cuore  di Jan-Phillip Sendker. E’ opera dalla scrittura semplice e pacata che ci  porta, con una buona descrizione ambientale, in un piccolo paesino birmano ad  ascoltare una speciale storia d’amore, in cui  i personaggi regalano con delicatezza  una gamma corposa di emozioni. Qualcuno fa notare che, se pur ben scritto e di piacevole lettura,  il testo non tocca mai punti di vera eccellenza e  a volte risulta lento e ripetitivo.  E  il lato ragionevole  della cultura, di cui siamo figli, vi trova  discrepanze e punti di domanda. Come è tutto insolito! Non convince in qualcuno la trasformazione d’un sensibilissimo giovane vissuto poveramente all’altro capo del mondo ed ex-cieco, nel brillante avvocato americano difensore di stars e Case cinematografiche? Ma è l’altro quesito a  dividere i lettori. E’ credibile un amore durato più di cinquant’anni nella lontananza  e senza nessun contatto? Può essere solamente   una edificante favola? Molti vogliono credere che per chi possiede quel dono sia così, forse in quella placida cultura, così opposta alla nostra, dove  persone dall’aspetto sereno praticano ancora il rispetto e l’abnegazione  è davvero possibile amare in quel modo. Non abbiamo apprezzato invece il fanatico asservimento della popolazione all’astrologia e agli indovini. Basti pensare a quel ceppo di pino ove un bimbo anelante amore subisce il trauma dell’abbandono da parte di una madre paurosamente avvelenata dal pregiudizio. Superstizione che plasma anche le egoistiche motivazioni dello zio di Tin Win che si approprierà della sua vita causandogli  quella  svolta che lo porterà alla  lontananza fisica dall’amata Mi Mi. Mentre s’è rilevato che quando prevale l’amore e ignorati gli indovini, questo si propaga ai  membri della famiglia regalando serenità, come dimostra la madre della piccola  Mi Mi dai piedi deformi.  Perplessità per il comportamento del protagonista che lascia la famiglia americana dopo 35 anni di convivenza e 35 anni di matrimonio senza dare spiegazione alcuna; e ancora a chiederci perché non  torna in Birmania da Mi Mi visto che non asseconda lo zio che lo vuole sposato ad un’altra fanciulla? Perché resta in America e poi si sposa? Cercando, lontani dal nostro mondo, tra le pieghe del libro  troveremo, forse, qualche  risposta. Ci aiuta l’esperienza di viaggio d’una lettrice  la quale   descrive gli abitanti di quei luoghi,  come  persone discrete, aggraziate, silenziose  e devote verso gli anziani; in quei luoghi, riferisce, si respira una certa spiritualità… E in luoghi simili Tin Win è cresciuto. Un’altra lettrice  legge alcune sagge parole di U Ba sull’amore che  ne  ampliano fortemente la  visione: ” L’amore ha tante forme differenti, Julia, tanti volti….La difficoltà sta nel riconoscerlo quando ce l’abbiamo davanti………vediamo solo quello che conosciamo….Vogliamo essere amati come amiamo noi. Ogni altro modo ci è estraneo, lo guardiamo con dubbio e sfiducia. Accusiamo. Affermiamo che l’altro non ci ama. E invece  forse ci ama in un modo tutto suo che non conosciamo”. Comprendiamo di più ora  il vecchio  Tin Win che  s’allontana  da una moglie ormai distante, delusa da un  amore   diverso da quello  che voleva, irriconoscibile per lei,   a cui   pur era  stato detto un tempo: “ti amo, perché non ti basta?” E i figli, ora adulti,   avrebbero mai compreso nel padre  l ‘uomo che si da il permesso d’ andare  finalmente ad  appagare una promessa d’amore? Sarebbe stato possibile prima tornare da Mi Mi  in terra Birmana, disobbedendo allo zio   sacro tutore-padre a cui è dovuta obbedienza assoluta non sposando la sposa prescelta? Può disobbedire solo in America ove è stato mandato a studiare sperando di tornare alla  morte dello zio. Ma quando questo finalmente  succede sua moglie Judith aspetta un figlio. Ma perché s’è sposato! Va beh è stato un po’  forzato  e ha rimandato a lungo il matrimonio  ma ha pur detto d’amarla, l’ha amata questa donna e ha amato la sua famiglia, forse perché nel suo cuore   egli aveva sempre e comunque amore. Ma  entriamo  nel romanzo ad incontrare Julia Win dall’alta statura,  figlia amareggiata con la voglia di capire, giunta  in questo piccolo povero paesino birmano con un  indirizzo  trovato in una vecchia lettera d’amore del padre per MiMi, spera  di  rintracciare suo padre  scomparso  da quattro anni in Birmania. Le si avvicina un rugoso esile e compito vecchino,  sembra attenderla da tempo e le vuole raccontare la storia che Tin Win gli ha lasciato. E gradualmente  attraverso la voce di  U Ba – che alla fine  riconoscerà come fratello -Julia  riuscirà a conoscere  suo “padre” Tin Win  e Mi Mi la sua amata: lentamente egli prenderà forma in un bimbo non amato perché  nato in un giorno astrologicamente infausto, un bimbo davvero speciale che riesce a vedere le formiche piangere, un bimbo crudelmente abbandonato,  poi salvato e amorevolmente accudito da SuKyi, materna e intelligente; un ragazzino cieco (ed era solo una cataratta!) che sente l’animo delle cose e delle persone, la loro essenza, egli possiede una straordinaria capacità di ascolto che arriva a  captare  anche i battiti del cuore. Poi ragazzino che segue gli insegnamenti   del vecchio e saggio Maestro cieco U May, dalla massima “La ricchezza di un uomo sono i pensieri del cuore“ all’utilissima per lui “…la voce è una bussola nel mondo dei sentimenti umani”. Poi l’adolescente Tin Win  che incontra il battito e il cuore di  Mi Mi,   bellissima armoniosa fanciulla dai piedi storpiati e la voce melodiosa , i quali aprono in lui “una fessura nel grembo del mondo”. I due ragazzi si  riconoscono destinati, c’è in loro una accettazione e  complementarietà  che, se pur sembra  non  è data dal bisogno e che li rende più forti. Gli occhi di lei  sono i traduttori dei suoni, aiutano Tin Win a sconfiggere la paura rendendogli la sicurezza che ancora non conosceva. Mi Mi invece si sente compresa in quei momenti di   fragilità che ad altri non mostra: attraverso lui  partecipa  ad un mondo più vasto sebbene  i suoi piedi non ne calpestino  mai il  terreno. Amano generosamente,   posseggono quel dono   “che solo ad alcuni è dato”. Un amore che la superstizione cattiva dello zio impedisce ma che l’incrollabile reciproca  fiducia ne permette il  continuo fluire. La lunghissima  attesa di Mi Mi, il ritorno di Tin Win e le  bellissime lettere mai lette, ne fanno testimonianza: ” Come triste e sconsolata la vita di quelli che hanno bisogno di parole per capirsi e hanno bisogno di toccarsi, di  vedersi e di sentirsi  per essere vicini…”  “..  sento una gratitudine immensa non è nostalgia o paura quello che sento quando penso a te.” Possono dirsi  parole  così perché sentono  d’aver avuto tutto quello che l’amore può dare,  sono completi anche perché nel loro unico amplesso amoroso   tutti i sentimenti dell’essere umano sono “esplosi insieme e per un istante, il tempo di uno o due battiti, tutto nella loro vita ha avuto un senso  e loro lo  conservano a patto di non essere avidi. Ne deriva una tale sicurezza da permettere queste affermazioni  di Mi Mi : “come spiegare quello che tu significhi per me , quello che mi dai,  non ha niente  a che vedere con il luogo in cui ti trovi? Che non c’è bisogno di toccare la mano dell’altro per sentirsi vicini”, e arrivare a far aspettare la morte per poterlo rivedere; al punto che lui la invita,questa morte,  per poter andarsene con Mi Mi. Julia ora è pronta ad accettarli entrambi e a conservare  l’amore avuto dal  padre, è in pace nel piccolo cimitero mentre  ascolta la voce di U Ba, suo caro fratello narrare la favola da lei  molto amata nell’infanzia, ora reale conclusione  di due vite che vanno magicamente  a ricongiungersi nelle colonne di fumo delle loro ceneri. Questa si per noi una fiaba! Ma bella.

Autore

Jan-Philipp Sendker è nato nel 1969 ad Amburgo. Vive a Berlino dove lavora come giornalista per Stern. L’arte di ascoltare i battiti del cuore è stato il primo dei suoi libri ad essere pubblicato.

 


Genere: romanzo

Cime tempestose di Emily Brontë

05 Marzo 2015

Dall’ombrosa anima sotterranea di Emily Brontë nasce il capolavoro Cime tempestose, opera che rompe gli schemi nella letteratura inglese dell’Ottocento. In un caleidoscopio di generi, con una originale struttura e un crudo linguaggio, inusuale per una penna femminile, si esterna un male estremo dell’uomo. Entro una quotidianità realistica si dipana una storia tragica dall’irreale romanticismo per ricomporsi  al fine in un giusto equilibrio. E’ un libro che cattura il lettore coinvolgendolo in storie cattive, in  una   natura selvatica plasmante umori e caratteri,  inducendo   ansia, emozioni forti,  disagio, ma  che sorprendentemente affascina. Vi  troviamo  spazi percorsi da freddi venti, pioggia e  neve,  case gelide , umide e buie confortate da un solo focolare ove albergano sincerità crudeli e  rozze modalità relazionali. Veleggia cupezza entro e fuori questa vecchia magione: la Tempestosa; altro si respira a Thrusheross Grange, presso la famiglia Linton, qui dimorano in giusta misura educazione, eleganza e gentilezza. Solo la morte visita di frequente le due case ,ospite  riconosciuta come vicina compagna nelle giovani vite  manchevoli di una solida costituzione. Quale differenza con l’oggi! In queste vite  dove  matrimoni, figli,  morte, tutto avviene tra la fanciullezza  e  la soglia dei quarant’anni! –  I personaggi invece sono fatti di pietra dura immutabili al tempo che scorre, e per il gruppo di lettura, negativi con due le sole eccezioni: la materna voce narrante Nelly, anche se solo parzialmente perché ella più volte, anche se a fin di bene, tradisce   la fiducia accordatale. L’altro è il giovane Hareton Earnshaw che nutre affetto e rispetto per il signor Heathcliff, benché sia stato  da questi defraudato di beni ed educazione, è capace poi di generosità verso l’altezzosa Cathy  e ha in sé il  desiderio di migliorarsi – quel compitare l’alfabeto – perché  egli si  riconosce  ben più d’un animale da soma .  Tutto prende avvio dal gesto generoso d’un signorotto di campagna, il signor Earnshaw  che al ritorno  da un viaggio  porta alla Tempestosa un piccolo   ritroso e scuro  trovatello. Questo bimbo, Heathcliff.  diverrà il suo pupillo  provocando in Hindley, figlio legittimo, una vendicativa profonda gelosia che alla morte del padre si abbatterà su Heathcliff. La sorellina  Catherine,  capricciosa e  prepotente  invece lo accetterà presto facendolo     compagno fedele   di   giochi e    fughe nella brughiera, in una affiatatissima  condivisa libera infanzia. Ma  venuto  il tempo dell’ adolescenza Catherine, che a seguito d’un incidente è ospite  forzata  nella tenuta  dei Linton, riconosciuta la  sua   selvatichezza  si sentirà attratta da quel  ricco  piccolo mondo sereno   fino   ad accettare di sposare il giovane  e bello Edgar Linton. Nel riferirlo a Nelly viene inavvertitamente ascoltata da Heathcliff mentre giustifica di non poter sposare lui perché è ormai solo un lavorante di casa. Tremendamente ferito egli   fugge abbandonando quella casa e impedendosi di sentire come  Cathy dichiari e descriva il suo amore per lui: ”Il mio amore per Edgar è come il fogliame dagli alberi, il tempo lo trasformerà ne sono sicura… , quello per Heathcliff somiglia alle rocce  nascoste e immutabili….Nelly io sono Heathcliff ! Egli è stato sempre nel mio nel mio spirito”.  Vi è poi il cadere ammalata di Catherine  che non si capacita di questo abbandono a cui seguirà però il   matrimonio  apparentemente sereno con l’accondiscendente e adorante Edgar. Ma al ritorno del  vendicativo e ricco Heathcliff   si innescherà quel lungo periodo di  sofferenza, a cominciare dalla morte di Catherine, che toccherà  tutti i membri delle due famiglie.

Nel gruppo si esordisce dicendo che se  vera tenerezza avesse accolto  il piccolo Heathcliff  egli non avrebbe maturato tanta cattiveria, forse è vero che gentilezza chiama gentilezza ma sin da piccolo   non dimostrava   però un animo buono,  in lui sembra esserci solo il  legame fondamentale  con Catherine,  nato in  quell’essere cresciuti senza alcuna guida, seguendo le loro inclinazioni senza sentirsi mai colpevoli in una natura  aspra dove con  necessaria indifferenza il male si muove. Lo conferma in queste parole Heathcliff  poco prima  di morire:“.. io non ho commesso ingiustizia alcuna, e non mi pento di nulla”. Eppure quanto male ha fatto. Già al suo ritorno,  fragili equilibri si rompono  e il suo rancore  lungo e vendicativo toccherà  tutti gli antichi e   i futuri abitanti delle due case. Avido, subdolo, efferato si impossesserà delle due proprietà, sposerà l’ingenua Isabel Linton che, sebbene avvista da Catherine, si invaghisce fanciullescamente di lui. Una Catherine dalla  superficiale cattiveria quando metterà il  sentimento della cognata alla berlina permettendo così a Heathcliff di trarne profitto. Per Isabel  il matrimonio e la Tempestosa si riveleranno un  incubo  dove angherie e disprezzo la costringeranno appena possibile a fuggire. Ci viene suggerito da un lettore  che  un sovrappiù d’ odio le arriva  perché  lei, la sposa,  non era per Heathcliff  l’amata  Catherine-  Tant’è che il figlio concepito da questo amplesso, il malaticcio e noiosissimo Linton, reclamato alla morte della madre alla Tempestosa,  sarà solo disprezzato  ed infine usato per appropriarsi de   la Grange, di cui è erede  maschile e  indotto a sposare  la cugina Cathy , figlia amatissima  del morente Edgar e di Catherine.   Questa fanciulla  senza madre e legatissima al padre che la alleva amorevolmente, cresce  allegra,  curiosa e intraprendente ma verrà indotta con l’inganno e il ricatto a sposare Linton. Lo perdonerà poi vegliandone anche  l’agonia in una gelida camera dove lo lasceranno morire  vergognosamente, nella più assoluta indifferenza. Cathy, incattivita dalla vicinanza di Heathcliff,  solo lentamente tornerà ad essere se stessa  legandosi  al cugino Hareton,  nella prima fanciullezza  disprezzato e misconosciuto, poi schernito per la rozza ignoranza e deriso per i maldestri tentativi di lettura. Ma poiché Hareton è stato concepito nell’amore e nell’amore Cathy è cresciuta  saranno loro a permettere  l’epilogo positivo di una storia non da loro cominciata. E  Cime tempestose sembra raccontare una  una grande storia d’amore,  infatti una  partecipante dichiara  che al suo interno vi sono in assoluto le più belle frasi d’amore: “No, quest’ossessione non è amore“ ribatte un altro partecipante mentre  un’altra lettrice  afferma  che Heathcliff emani comunque un fascino speciale che irretisce e confina il bel Edgar  in una insignificante insipidezza.  Sebbene Heathcliff estragga una cattiveria che rende il mondo attorno cupo e sofferente e rimanga per sempre legato a  Catherine  e alla sua ombra da una vicinanza che è sofferenza e   desiderio mai  appagato, sarà lui a pronunciare: “Io so di fantasmi che hanno errato sulla terra…sta sempre con me..   prendi qualsiasi forma…Ma non lasciarmi in questo abisso dove non ti posso trovare!…Non posso vivere senza la mia vita, non posso vivere senza la mia anima!” Parole e sentimenti forti  che portano  molti a subire il  fascino    d’un amore come questo, così immutato e indissolubile  che è sentimento e non carnalità, desiderio di  comunione assoluta  che va al di la di tutto e che forse in un romanzo come questo  sembra giungere a completezza  con l’immagine  dei i due fantasmi i  che corrono vicini nella   brughiera.  Se torniamo invece alla razionalità,  sappiamo del’ illusione simbiotica che nell’innamoramento ci fa credere d’amare l’altro mentre in realtà amiamo noi stessi. E’ solo con passare del tempo e un po’ meno di adrenalina in corpo che riusciremo  a riconoscere  nell’altro quella diversità che ci  permetterà  di scegliere  se  lo vogliamo  veramente amare.    Non così per Heathcliff e Cathy perché il loro è in realtà un rapporto malsano   basato su un bisogno e come dice Simon Weill “appena c’è bisogno c’è desiderio,… si passa la vita a desiderare”. E’ amore malato,  nato attorno a quel bisogno di riconoscimento che nella loro fanciullezza  li ha  formati in un’ unica identità  e costruiti  come un’anima sola, tarpata  nella lontananza di uno qualsiasi di loro due e ossessivamente alla ricerca di potersi   ricongiungere.

 

Autore

Emily Brontë, seconda delle famose sorelle Brontë,  nasce in Inghilterra nel 1818 e  vi muore di tisi nel 1949 . Il suo unico romanzo Cime tempestose, opera insolita nella tradizione inglese , è  ormai  un classico della letteratura dell’Ottocento.

Trama

 


Genere: romanzo

La Strada di Cormac McCarthy

08 Gennaio 2015

Giovedì  il gruppo ha incontrato un libro potente che è monito e speranza  per noi tutti: La Strada di Cormac McCarthy. Una narrazione dalla scrittura magistrale, le parole essenziali ma cesellate i dialoghi semplici (ci si rivolge sempre ad un bambino) danno emozioni e pensieri forti. Nella lettura del libro qualcuno ha riferito il suo sentire il paesaggio e le reiterate azioni domestiche ripetitive,  mentre altri  si sono stupiti di come l’autore fosse riuscito a trovare sempre parole nuove per quel pellegrinaggio in un presente sì  sorprendente ma sempre  uguale. Tre i personaggi: un padre, un bambino e una reale ma anche simbolica strada. Ed ecco un deserto orrido  si materializza davanti  a noi che,  timorosi, a volte sgomenti, arranchiamo dietro a quel loro andare di sopravvissuti incastrati nel vuoto desolante e pericoloso di quel mondo  grigio, polveroso e freddo. Portando in tal modo tutti  noi  a quella domanda terribile: Cosa avremmo fatto noi? Cosa? Come riuscire a vivere in un mondo dal sole nascosto, in una sterile e nemica natura,  perennemente accompagnati dalla paura  del pericoloso  cannibale fratello? Avremmo noi seguito nel bosco  la fragile mamma così consapevole di non sentire e   sperare più, da desiderare solo di abbandonare   la paura per i propri cari e per sé? Oppure   avremmo camminato come quel  padre,  forte d’un amore meraviglioso per il suo bimbo. Un bimbo che diventa per lui  sostegno in quel voler  vivere  comunque la vita. Ma ancora nelle  pagine di quest’opera troviamo quella  scelta basilare che accompagna sempre l’uomo, il bivio  tra la sua egoistica cattiveria e la  parte buona, quella che permette di stare bene con gli altri. La scelta nel libro è netta perché il limite è preciso ed estremo: essere il feroce umano  o essere il  buono, l’umano che non uccide il fratello  -nessun spiedo mai  rosoli un neonato!. Eppure quel padre, in un momento di incontenibile  rabbia  lascia  nudo e al gelo un uomo,  il ladro di tutta la loro sussistenza. Non sconfina mai il bimbo, sempre pietoso e caritatevole, puro senza confronti, in quel suo mondo dalla natura inospitale, indifferente e umanamente crudele di cui egli  ha molta paura. E’ il padre che lo ha protetto con amore immenso, quello  che ora sostiene entrambi nella reciproca cura e li fa sentire i “buoni”, quelli che portano il fuoco. Essi vanno e percorrono la strada e, se talvolta ne escono fermandosi in piccole oasi di ristoro poi la riprendono, sempre vigili, accorti perché v’è in essa  grande pericolo, -piccoli gruppi e  bande sferraglianti di umani mostruosi la pattugliano – ma  anche la vita che scorre e la speranza d’incontrare  altri “buoni”. Seguiamoli ancora sino ad un mare opaco dove nel freddo il bimbo vuol comunque bagnarsi, poi i regali della barca incagliata; il brutto episodio del ladro, altre traversie sino allo spegnersi del padre ammalato. Quel padre che pur aveva promesso di non lasciarlo solo mai-  c’è sempre quell’unica cartuccia nella pistola! – , se ne va invece quasi sereno perché ha negli occhi  quel bimbo avvolto di luce e vede, rivede bellezza nella bontà del  mondo, nel divino che il bimbo porta dentro di sé. Il fuoco, luce che illumina e consente al bimbo di credere e affidarsi al  primo  uomo “buono” che  gli verrà incontro.

 

Autore

Cormac McCarthy , scrittore statunitense è nato nel 1933, attualmente vive nel Nuovo Messico lontano dal mondo letterario e mondano. Con il romanzo La strada vince il Premio Pulitzer nel 2007.  Tra i suoi scritti troviamo: Suttrie, Cavalli selvaggi, Oltre il confine e Non è un paese per vecchi.

 


Genere: romanzo

Dora Bruder di Patrick Modiano

04 Dicembre 2014

La curiosità per Patrick Modiano,  scrittore a noi poco noto ma vincitore del Nobel 2014,  ha indirizzato il nostro gruppo alla lettura di un suo testo, Dora Bruder, sebbene sia un’opera che è difficile definire propriamente un romanzo. Il libro si presenta come uno scritto breve e originale, dallo stile asciutto e preciso,  privo di retorica, sebbene tratti di un’ umanità immensamente dolente e come l’autore scrive “quasi anonima” posta alla nostra attenzione  per non dimenticarla. Un vecchissimo annuncio  su Paris Soir per cercare Dora e Modiano si mette sulle tracce di questa ragazzina  quindicenne ribelle ed ebrea, fuggita nell’inverno 1941 dall’Istituto religioso che la ospitava, per ritrovarne la vita. Qualcuno fa notare che  l’autore in questa sua missione spesso divaghi e venga a  parlare  troppo di  sé. In questo modo forse l’autore riesce a far passare un filo tra  diversi passati, tra  spazi di  Parigi diverse; egli può legare  tra loro coincidenze come  i collegi,  le fughe, i luoghi e le persone, intersecando la sua storia personale e la  Storia – quella sofferta occupazione nazista di Parigi – onorando in questo modo vite ormai sbiadite e ricomponendo parti della propria.

Il libro comunque nel complesso è risultato gradito grazie al tema forte dell’inumanità dell’uomo sull’uomo, ma noiose ed ostiche  sono state per molti  le varie elencazioni, lo stradario parigino che ai più di noi non poteva evocare nostalgici ricordi né spiacevoli raffronti. Così tra documenti, fantasia e quella   domanda “Mi chiedo se…” un po’ della vita di Dora riappare, creando nel lettore la curiosità sulla sua vicenda e  c’è chi corre veloce sul  libro per sapere di lei, di cosa abbia fatto nei suoi quattro mesi di fuga.  Nel dibattito  si sono riaffacciate per noi oggi “destinatari e custodi” le lettere di persone inascoltate  inviate al Prefetto di Polizia, all’interno delle quali troviamo mescolate paura e speranza per i propri cari fermati. Ammirazione si è avuta  per la coraggiosa solidarietà  di quelle donne deportate,  quelle “amiche degli ebrei” ,  che hanno  indossato in modo irriverente e scherzoso anche loro la “stella gialla” – quella stessa stella, che per ambigue vie,  il padre ebreo  dell’autore invece  non ha mai portato. E a costui è andata  la nostra indignazione per  quella sua  paternità indifferente, traumatizzante e cattiva  che emerge dal racconto di un Modiano  adolescente quando viene accompagnato al commissariato di quartiere  col “cellulare”da un padre muto  e falsamente accusatorio. Rimaniamo sorpresi anche per la mancata reazione del figlio, forse la causa sta nella forte e falsa autorità dell’epoca? Chissà! Lui riesce   comunque  a giustificare  il padre anche  per un  comportamento  “ladresco”  perché in tempo d’occupazione per un ebreo non resta molto altro da fare per  sopravvivere. Di piacevole lettura  è stato invece rievocare dai Miserabili la fuga  di Cosetta e Jean Valjean in una  notturna e lontana Parigi e che stranamente sembra descrivere il giardino   dello  stesso sacro  edificio  in cui Dora era ospitata..-Sono stati letti  anche  due bei  brani del testo uno dei quali  riguardava un cinema e un film del 1941  “Primo appuntamento”, -che l’autore   ipotizza abbia ispirato  la fuga di Dora-, e che sembra magicamente conservare ed  emanare  ancor oggi   ciò che gli sguardi di quegli antichi spettatori hanno percepito in quell’angolino   tranquillo: una sosta e  la pace. L’altro brano riguarda la passeggiata  dell’autore nei luoghi delle rimembranze fino al muro che nasconde la Tourelles.-il triste edificio che fu  luogo di transito e dolore  per tanti deportati-   e leggere quell’ipocrita cartello “Zona militare divieto di filmare  e fotografare”  che vuol  nascondere  e dimenticare gli antichi orrori, le sofferenze  di cui è pregno, ma che levano queste parole all’autore “….nessuno ricorda più niente”  mentre  lui sente sente ….ancora! Ed ecco che da un bisogno nel grigiore tutto rivive  facendocene partecipi: la  lunga, attenta e laboriosa   ricerca  di persone e documenti; quel venire a sapere di  Dora    ribelle e indipendente; le  fotografie  di famiglia, l’intricarsi di strade, edifici e nomi scomparsi o trasformati; i suoi  tanti “mi chiedo se”; le ricerche meteorologiche e di bombe cadute, il volere e sentire empatia e le coincidenze  che lo portano vicino Dora accompagnandola sino ad Auschwitz.  E alla fine grato a  quel tempo sconosciuto, segreto  e solo di Dora  che noi oggi  vorremmo fosse stato per lei  rivestito  di calore e di vita.

 

Autore

Patrick Modiano è nato nei pressi di Parigi nel 1945, figlio di un ebreo francese d’origine italiana. Scrittore, documentarista, paroliere e sceneggiatore. Vince il premio Goncourt nel 1978 con che esse non si dovrebbero mai incanalare forzatamente in comportamenti di generi diversi.

Quest’anno è stato insignito del premio Nobel per la Letteratura .

 

 


Genere: romanzo

Dove nessuno ti troverà di Alicia Giménez Bartlett

06 Novembre 2014

Alicia Giménez Bartlett,  rinomata scrittrice di storie poliziesche, è l’autrice del romanzo Dove nessuno ti troverà. Un’ opera che ha richiesto anni di studio e ricerca trattando del   periodo storico che segue la  guerra franchista  e di un personaggio realmente esistito: la Pastora, partigiano dal sesso incerto, bandito  leggendario, accusato  ben di 29 omicidi (in realtà mai confermati).  La storia e la scrittura  tengono desta l’attenzione, dipanandosi in due vicende che si  alternano in  differenti narrazioni:  a tratti udiamo una voce che  confessa con innocente, a tratti poetica sincerità, una vita tragica e cruenta;  mentre seguiamo, in ambienti aspri e selvatici, l’instaurarsi di un’intima amicizia tra il  medico francese Lucien e Carlos, giornalista  spagnolo, diversissimi tra loro.

La serata apre con un intervento di  commossa simpatia per la Pastora , per la vita dura e solitaria, per le umiliazioni subite;  ricordiamo quell’avvilente arrendersi alla  brutalità irridente, alla violenta sopraffazione dell’autoritario gruppo che  curioso guarda e tocca le  sue “malformate” parti intime. Lo sforzo per non reagire la fa tremare,  lei  vuole  vivere e per questo lascia violare un’intimità che è sempre stata  salvaguardata  dalla vergogna. Quella “vergogna”  che la povera madre ignorante vuole evitare a quell’esserino (prefigura un’umiliante visita di leva) e a se stessa ingabbiandolo in un  nome: Teresa. Povera Tereseta trasformata e rinchiusa in quel nome. Qualcuno  comunque puntualizza che  La Pastora è stato   un vero violento bandito negli anni di latitanza. Andiamo allora  brevemente a ricordarne la storia. Egli nasce tra le irte e scarne e montagne della valle dell’Ebro in un ambiente povero e arretrato,  orfano  di padre a tre anni ,  detestato dalle sorelle che male sopportano la curiosità che provoca nella gente, è deriso e dileggiato per l’aspetto nettamente  mascolino: “Teresot , Teresot che cos’hai tra le gambe” è  il ritornello che accompagnerà la sua infanzia.  Tereseta  troverà a dieci anni   rifugio  e sollievo in montagna accudendo alle pecore,   sia pur con molta fatica e solitudine  trova sollievo nella compagnia degli animali, che ama,   guarda le notti stellate e non ha   più confusione dentro di sé poiché li può essere solo sé  stesso.  Crescendo acquisisce una  possanza fisica che  non gli fa più temere  i lazzi degli altri, anzi ama le feste e i balli di paese, come i  due bicchieri di vino che le permettono di percepire un po’ di quel calore umano di cui  sente la mancanza. Una vita modesta e dura per una donna che sa di essere diversa , quant’anche indipendente e libera; lei conosce solo quel mondo e da  persona  semplice lo accetta. E’ dall’esterno  che arriva casualmente la grande svolta  per Tereseta,  che temendo  le ritorsioni dalla Guardia Civile Franchista, per  l’amicizia instaurata con i partigiani, accetta l’offerta di unirsi a loro. Non ne conosce però l’ideologia ed è attratta dalla proposta di alfabetizzazione e dal piacere di mettere a disposizione la sua conoscenza di quel territorio e.. allora.. le  lunghe nere gonne che indossa .. sono d’impaccio! Avviene ora il grande rito di passaggio, quel momento in cui i lunghi capelli vengono tagliati  accompagnato da  lacrime che sanciscono l’addio a un mondo conosciuto e a se stessa e subentra il timore del nuovo.  Dentro a un paio di calzoni e   dei baffetti che ricoprono   vezzosamente  un’antica cicatrice compare, pienamente a proprio agio, Florencio,  un uomo  tra pari, ove svolge i suoi nuovi incarichi e conosce diritti che ora giudica giusti per tutti.  Poi un’amicizia,  nata dall’ammirazione  per il compagno Francisco a cui rimarrà fedele in ogni circostanza e che seguirà, allo scioglimento delle bande partigiane, trasformandosi da partigiano in  bandito fuggiasco.  Si è osservato  come la trasformazione della Pastora abbia liberato nell’uomo, detentore di diritti e abbruttito  dall’errabondo banditismo, grande  violenza e furore  vendicativo nei confronti di  chi anticamente  l’aveva ridicolizzato. Mentre emerge chiaramente quell’identità femminile culturalmente appresa nell’amicizia con il compagno Francisco. Con lui ha un comportamento passivo spontaneo: è accondiscendente,   non mette in discussione le sue decisioni, si prende cura di lui e del nascondiglio proteggendo la sicurezza delle riserve, svolge le faccende domestiche senza annoiarsi. Florencio non soffre l’ inquietudine smaniosa che attanaglia  Francisco,  i fantasmi degli ideali falliti e la perdita degli  affetti familiari, non è vittima della depressione né  della frenesia che spinge a rischi sempre maggiori,  è un’ anima semplice che proviene da un mondo diverso perciò si accontenta di poco, gli basta quest’amicizia per vincere la solitudine.

Il personaggio che il romanzo ricostruisce, come del resto il Florencio reale con la vita che segue alla sua cattura, ha suscitato una sorte d’indulgenza perché al di là dell’esecrabile violenza si ravvisano in lui  capacita  e qualità umane  quali la  gentilezza,  la delicatezza, la bontà, la riconoscenza, l’amore per la natura, la fedeltà, il buonsenso, insomma l’amore per la vita…  la parte migliore della vita. Forse, e in questo caso il quesito che spinge lo psichiatra parigino alla ricerca del caso clinico la Pastora quel: può una malformazione sessuale unita ad un  disagio ambientale e culturale scatenare tanta violenza omicida (i 29 omicidi), può essere confutato

Anche i protagonisti dell’altra storia sono seguiti con interesse,  il tema della loro  reciproca insofferenza, il loro  cambiamento avvenuto in quel loro lento  girovagare in un paese montagnoso e scarno,  dal fascino selvatico  ove ovunque la  Dittatura franchista diffonde  paura, diffidenza  e   sopraffazione. Ma questo  contesto permette d’intuire quanto sia difficile  seguire scelte virtuose e  oneste quando si è incalzati da  oggettivi pericoli; per contro  anche che una vita  troppo facile  non aiuta a fare  le scelte giuste, quelle che possono costruirti  interamente. Le scelte fatte, a volte tragiche e colpevoli,  possono portare l’uomo a galleggiare in una vita senza senso  anestetizzata inutilmente dall’alcool. In questa storia fortunatamente  due uomini diversi sì incontrano, instaurano una relazione che permette loro di guardare  attorno e guardarsi in altri specchi, che possono aprire  al coraggio di confessarsi a se stessi  e agli altri. Alla fine del viaggio Lucien  non farà più lo psichiatra e  Carlos sconterà,  sollevato, l’onere di antiche e nuove scelte. Ora due uomini diversi e uniti da un’intima amicizia.

Mi piace terminare soffermarmi assieme a voi  sull’uso  di alcune parole con cui la Pastora termina il  suo raccontarsi:. “.. sei rimasta sola Tereseta, non c’è più nessuno, allora mi lasciai cadere in ginocchio, mi coprii la faccia con le mani e mi misi a piangere. Era la prima volta che piangevo da quando avevo smesso di essere una donna. Avrete notato che per darsi il permesso di piangere chiama sé stesso Tereseta non Florencio, a dimostrare che la diversità sessuale, pur diversificata geneticamente, non rientra  nel campo delle emozioni,  e che esse non si dovrebbero mai incanalare forzatamente in comportamenti identificati culturalmente di genere diverso.

 

Autore

Alicia Giménez Bartlett è nata ad Almansa nel 1951, ed è la creatrice dei polizieschi con Petra Delicado. Ha anche scritto opere di narrativa non di genere

 


Genere: romanzo

Norvegian Wood di Haruki Murakami

02 Ottobre 2014

Con pacatezza, una critica curiosa e qualche sorriso, il gruppo di lettura ha parlato dell’unico romanzo realista e intimista, Norvegian Wood, di  Haruki Murakami. Usualmente autore di mondi paralleli, fantastici  e magici,  in questo libro lievemente  sfiorati  nel mondo ombroso del disagio mentale. Un‘opera questa che contiene reali sofferenze fisiche, dell’anima  e della  prima giovinezza trascritte con  parole quiete e leggere. La scrittura armoniosa,  accompagnando i personaggi in quotidianità solitarie, fatti drammatici  e sincerità dell’IO   li rende amabili, trasformando  il lettore in uno spettatore irretito da sottili sfumature di raffinata sensibilità e non da viscerali emozioni. Un libro avvolto in silenzi ovattati e musicalità, il piacere  del cibo a noi sconosciuto. Il  nostro “essere occidentali” fa emergere divergenti considerazioni, sebbene ci sentiamo “a casa”  in questa Tokio occidentalizzata  intrisa  di   musica, libri, films, ambienti e bevute che sono parte della “nostra” cultura, la distanza c’è e si percepisce. I personaggi manifestano una pudica sincerità dell’animo e una semplice impudica naturalezza del corpo che si  discosta da noi. Infatti,  i comportamenti sessuali, che sono  parte  integrante del libro, sono stati per alcuni di noi causa d’imbarazzo o  di ripensamento, per altri  di  benevole invidia. Qui la  sessualità è descritta con schiettezza  pulita, vissuta al di fuori di qualsiasi pregiudizio da tutti i personaggi e se a volte in essa emergono concrete difficoltà queste non rimandano ad altro che alla persona stessa. Quando  vi sono  esagerate esigenze queste vengono  soddisfatte, chi invece   lega  la sessualità ad un amore  idealizzato la può  posporre, se invece essa è  vissuta come unica esperienza perfetta la si  può trasformare e considerare  come un assoluto non più ripetibile. C’e comunque  una volontà individuale o una capacità  di controllo, di distacco, insomma di gestirla con la testa , a  volte, anche con generosità. Naoko  trasforma dei “gesti” sessuali  in un dono gentile  dato a Toru, come del resto Toru  che controllandosi riesce a regalare “solo” il calore del suo corpo a Midori. Ma l’amore erotico può diventare paradossalmente momento catartico, punto di chiusura e rinascita da un lutto, ed ecco l’importante eccessiva notte che si concedono Toru e Reiko….. Reiko amica d’entrambi, vestita con gli  abiti che Naoko le lascia. Non  piace invece l’episodio saffico “subito” da Reiko, lo si è percepito come ”un di più” anche per l’ esagerata capacità manipolativa e sessuale attribuita ad  una ragazzina di tredici anni. Di tutti i protagonisti abbiamo subito il fascino, persino del cinico determinato “gentiluomo” Nagasawa; c’era in loro una  sincerità mischiata  di pudore e riserbo  che permetteva loro di non rovesciare sugli altri   sofferte  interiorità. Qualche  lettore ha trovato Toru troppo accomodante e disponibile nell’assecondare la volontà altrui da sembrare indifferente, non sembra interessato nemmeno a ciò che studia,   ma non è proprio così egli si da e  attiene  a  regole che strutturano il tempo  di   una quotidianità disincantata, egli  è un adolescente che cerca  e vuole fare la cosa giusta,  questa è la sua regola base. Nagasawa dice di lui “che guardava le cose in modo distaccato“ , lui infatti ama meditare, da bambino non  giocava con gli altri perché “non gli importava come andavano a finire i giochi” e  forse è proprio per questo che lui riesce ad “accettare sempre gli altri per quello che sono” ,  ed è questo l’aspetto che Midori ha più amato.

Questo bel  romanzo prende avvio in una romantica cornice:   melodiche note portano emozioni e con esse  rivive nitido un  verde paesaggio, una  promessa “non dimenticarmi” unita al volto dolce e bello di Naoko che  lentamente si ricompone. Ricompare un’adolescenza e i sentimenti dolci e amari   che l’hanno attraversata.. L’impatto con la morte – l’amico Kizuki –  allontana  il protagonista  dalla fanciullezza portandolo alla  consapevolezza che essa è nella vita stessa  perché con la morte di chi ti è caro essa si insinua anche nella tua vita. Poi il ri-incontro con la  ragazza di Kizuki, l’attrazione per la fragile lunare Naoko, capace di vivere solo in un mondo appartato e delicato, in contatto con il mondo delle ombre. E’ per Toru   un  amore puro e difficile ma egli non ne è scoraggiato perchè crede di riuscire a salvarla , di portarla con sé alla vita. C’è poi la sua solitudine, la difficoltà a fare amicizia e poi… l’incontro con Midori. L’’incredibile   estroversa ragazza  che conosce la sofferenza  ma che guarda al  futuro con intatta speranza capace di indossare una minigonna mozzafiato per rinvigorire i poveri e depressi  malati all’ospedale. Immaginifica, curiosa, splendente e  vitale, lei è per Toru un’amica      profonda e la sua necessaria realtà. Avviene cosi  che la retta strada percorsa da Toru ora viene a diramarsi in un bivio:  da un lato troviamo  la strada dell’ideale, il puro sentimento  capace di  sacrificio,  quel prendersi cura che aveva promesso, dall’altra invece la vita, la reale possibilità di condividere, l’invito di Midori di “rotolarsi assieme nel lettone e avere tre figli…”. La saggia Reiko suggerisce di andare verso la vita,  ed è sempre  lei a dargliene l’opportunità, dopo la morte di Naoko e il  rientro di Toru  dal dolente viaggio di purificazione, con quello strano rito di passaggio che lo renderà  vivo e libero di chiamare  “l’infinitamente”  paziente Midori

 

Autore

Haruki Murakami è nato a Kyoto nel 1949. E’ stato insignito di molti premi  e pubblicato diversi libri , eccone alcuni: Dance Dance Dance, Underground, Kafka sulla spiaggia, Nel segno della pecora, 1Q84 , A Sud del confine, a ovest del sole.


Genere: romanzo

Marina Bellezza di Silvia Avallone

04 Settembre 2014

La lettura del libro Marina Bellezza , opera seconda di Silvia Avallone,  è stata   per alcuni componenti del gruppo  scorrevole e  piacevole, ricca di tematiche attuali e propositive: il ritorno a lavori umili, la crisi economica, i difficili rapporti tra figli e genitori;  per altri invece noiosa, ripetitiva e dai personaggi disturbanti. Dimostrazione perfetta di   come il dialogo che si instaura  tra le parole  dell’autore  e ogni lettore  spesso differisca. Certamente la scrittura chiara e colloquiale della Avallone  invita a seguire l’altalenante storia “d’amore” di Andrea e Marina Bellezza ma  spesso  essa  scivola  in frasi  piatte e banali salvo poi risalire  con le accurate descrizioni paesaggistiche ed ambientali. Ecco allora  prender  bella forma la montana selvatica, aspra  Valle del Cervo;  le immagini impressionistiche  di un ‘America “modesta e periferica”  quale quella di Tucson in Arizona ;  la profonda decadenza  d’un territorio, una volta ricco ( la provincia Biellese), tappezzato  da  tristi scheletri  immobiliari. Ed è proprio da questo ultimo triste contesto, la chiusura di molte fabbriche e le difficoltà lavorative  per i giovani,  che arriva nel gruppo  la proposta di lettura di quest’opera, si è curiosi del progetto  di rinascita e di speranza  per i giovani che vi  si trova dentro. La “consapevole” positiva portavoce è  Elsa,  la giovane ricercatrice  che si riconosce  “l’appartenenza” a quel territorio    del quale “vuol prendersi cura”. Personaggio questo non del tutto credibile per noi: l’amore adolescenziale che riversa su  Andrea  sino ad “accogliere”   persino uno stupro è troppo! Come  per altro quel’ esagerato buonismo che le fa dire “di voler bene a Marina”, sua insopportabilissima e  maleducata coinquilina.  Andrea è il protagonista maschile, bibliotecario part-time (criticato nel gruppo per la sua vena aggressiva),   ha ben capito  la necessità d’invertire comportamenti lavorativi e di vita  e pur deludendo i familiari, persegue il progetto di un allevamento di mucche nella vecchia cascina del nonno  e produrre formaggio DOP, lui lo  fa  per sé stesso, ha  sempre amato la vita che conduceva il nonno, egli vuol star bene con sé. Molti altri i personaggi nell’opera,  alcuni sono solo  abbozzati  altri invece inseriti in tipologie di ruolo con estremizzazioni eccessive atte a  dimostrare sofferte conflittualità. Ci sono nel testo   momenti di felice scrittura quale il racconto di  quella ”unica giornata”  a Balma , quel  primo ricordo chiaro di Marina a  quattro anni, treccine e un  costumino rosa. In quel giorno, “non accadde niente di speciale… però erano lì tutti e tre assieme…Loro erano una famiglia.… La vita  è capace di perfezione, poche e rare. A volte ne concede una sola… E non importa  cosa accada dopo… Ne vale la pena al fine”. Ricordare  quel giorno dà la capacità  a Marina  di   perdonare  quei genitori disfunzionali  perché  comprende  che  essi, a modo loro e   per quello che riuscivano  a fare, le avevano dato amore. Incontriamo ancora  pagine godibili nell’inaspettato e sorprendente  incontro–fuga  di Andrea  con  Ermanno. Una sbiadita casa a Tucson (non più  l’Hotel Corral), un uomo in pantaloncini, ingrigito e  gambe rinsecchite: Ermanno, suo fratello “il rivale”. E Andrea intuisce che la sua lunga invidiosa rivalità non sarà risarcita, loro non l’avevano  voluta, non era dipesa da loro,  comprende   anche che la conquista di quel Far West, sognato da entrambi bambini, è per  ognuno  di loro, adesso,   dove  vuole e può: quello di lui  si trovava sulle Alpi Biellesi. Ecco adesso lui e  Marina sono cresciuti.  La bellissima,  sofferente sgradevole  Marina  è determinata a conquistare un visibile e facile successo nel mondo  effimero e fatuo dello spettacolo ( ha una bella voce,  capacità scenica  e bellezza) vuole questo per ottenere l’agognata attenzione di un padre assente,  sovrastimato e tanto amato,  ma quando il successo arriva  si rende conto che è inutile per le ferite affettive. Ugualmente ferito ed è arrabbiato è Andrea, egli  si sente figlio non desiderato, uno sbaglio di due genitori  che hanno già il figlio perfetto, il primogenito  Ermanno. Questi due giovani sofferenti  capaci a loro volta di far del male, non saranno  risarciti, ma cresceranno acquisendo comprensione e libertà. Andrea potrà così accettare di non  rinchiudere Marina nel suo progetto di vita e Marina di   sentirsi parte della Valle del Cervo ma anche di  amare  gli applausi  del pubblico. E il loro amore? Grande perplessità da parte di tutto il gruppo  che vede  alla  base di questa relazione una fortissima attrazione sessuale – lei è bellissima e sfuggente –  poi una comune, se pur diversa, mancanza  affettiva. Si spiega allora il voler prendersi cura di Andrea , la dedizione, la disponibilità nell’aspettare Marina  perché  lei divenga parte di quel  progetto di vita Caucino-Bellezza,  ma infine  riconoscerle il diritto alla sua  selvatica libertà. Marina invece è  egoisticamente indaffarata , ritorna sempre da lui perché è l’unico   punto fermo e sicuro che ha. Da lei un sol  gesto generoso, quel condurlo a Tucson per incontrare la realtà. Abbiamo detto: tra loro una grande attrazione, ora anche il vedersi     per quello che  sono, saranno perciò essi stessi , accompagnati dal  tempo della vita, a dare  la giusta risposta al loro rapporto.

 

Autore

Silvia Avallone è nata a Biella nel 1984, vive a Bologna; nel 2010  con Acciaio ha vinto il premio Campiello Opera Prima ed è entrata tra i finalisti del premio Strega.

 


Genere: romanzo

La sovrana lettrice di Alan Bennett

07 Agosto 2104 

Giovedì  è stata una gradevole serata conviviale stimolata da un piccolo libro doppiamente “sottile”: La Sovrana lettrice. Il titolo originale The Uncommon reader è un gioco di parole dato  da quel maestro dello humor britannico  che è  Alan Bennett. Egli con una  prosa agile, essenziale, dal sarcasmo sfumato e una trama  leggera elogia la letteratura, segnala l’ignoranza di molti, promuove e mostra il  grande potere dei libri. Tutto questo gli riesce  tramite un personaggio veramente incredibile:  l’attuale Regina d’Inghilterra.Ella grazie alla penna dell’autore ed   inserita in questa finzione realistica, viene inaspettatamente  ad assumere  un aspetto gradevole; la Regina è accolta sempre con simpatia, sia nella cinica durezza che il senso del dovere le impone, sia   nel suo   essere un  Plurale Maiestatis, quel NOI che verrà a incontrarsi con i libri. E’ un Noi paradossalmente democratico in quanto rende  agli occhi della sovrana indistinguibili e indifferenziati  gli strati sociali e i generi, ma al contempo non permette per la sua grande distante unicità  di  far  cogliere e sentire  alla stessa le individuali altrui  differenze. Tale Regina dopo l’occasionale incontro con la  lettura, riesce  gradevole  e divertente ai lettori,  nei piccoli espedienti  che escogita  per assecondare questa tardiva e avvincente passione; nella forte capacità di punire chi cerca  di ostacolarla e nel volenteroso, pungolante impegno che mette nel reclamizzarla. Sappiamo che ora legge per “piacere puro”  e perché nell’indifferenza che la lettura ha per chi  la va leggendo  lei scopre una repubblica dai confini remoti  ed un’ apertura che si contrappone ai  concreti ragguagli. Con essa   può nascere il rispetto per la vita degli altri e  per la  propria. La Regina  legge alacremente  e un po’ alla volta  impara a riconoscere e provare sentimenti ,  quel “muscolo”  che è la lettura, si è sviluppato in lei sino a permetterle di cogliere e  sentire sfumature nel cuore, nella mente. Ora, questa nuova  Elisabetta si sente divisa, non è più solo un dovere formale  è  anche una  persona che non ha una Voceessa capisce inoltre che  i libri possono condurre “solo fino ad un certo punto”. Non bastano più, riflette e scrive, allora prende coscienza di sé: ella  è una donna di  ottant’anni ma  d’azione, dunque  abdicherà per  scrivere liberamente le proprie riflessioni. Scriverà  onestamente perché  lei nei  suoi  lunghi anni di regno ha provato  a volte vergogna per la doverosa e ipocrita mano guantata di  bianco  che spesso ha porto a indegne persone.

E la vera Regina  come avrà  reagito alla lettura di questo testo? Si sarà divertita? Disappunto o un po’ d’invidia? Curiosità senza risposta! C’è Lei però nel frontespizio del libro, dentro una carrozza! Ma certamente il personaggio di  finzione è simpaticamente regale    nella sua nuova acquisita umanità, questa è raggiunta superando gli ostacoli dell’’ignoranza  diffusa  e perseguita da molti , poiché i libri sono “ordigni dell’immaginazione”. Essi   fanno e hanno sempre fatto  paura in quanto  aprono vie in quel   “ paese dai confini remoti” che  attraverso l’empatia, il riconoscimento, la riflessione, i sogni provocano  cambiamenti nei lettori-spettatori  che  possono indurre gli stessi   ad agire  poi   nella effettiva  realtà. Questa  Regina ha detto:  “non si mette la vita nei libri: la si trova”,  e questo fanno  le buone letture, possono aiutare, a volte divertendoci,  a  cercare la nostra.

Autore

 Alan Bennett nasce a Leeds nel 1934  è scrittore, drammaturgo , sceneggiatore e  attore britannico. Esordisce come autore teatrale nel 1960 . Grande maestro del comico  e del teatro contemporaneo. La sovrana lettrice  viene pubblicato nel 2007

 


Genere: romanzo