02 Maggio 2019
“Pensavamo di trasmettere la vita che avevamo ricevuto ed è la morte che abbiamo dato”. Philippe Forest ha scritto “Tutti i bambini tranne uno”, libro delicato, dall’impatto forte, abitato da grandissimo amore e una realtà dolorosissima che una favola cerca di lenire. Una lettura difficile a molti lettori poiché risveglia sofferenze patite. La storia – ed è la sua storia- racconta di un uomo colto, un giovane padre senza fede nell’aldilà, che scrive nella notte per attirare l’ombra di sua figlia Pauline, per averla ancora vicina, così la trasforma in “un essere di carta” . Lui è capace di affermare che “il lungo anno in cui morì nostra figlia fu il più bello della mia vita” è da Pauline che ha imparato cosa significhi amore infatti afferma “la mia vita in questo tenero incubo è stata generata di nuovo” perché si è anche figli dei propri figli e prima la sua era “una vita smemorata”. Un anno pregno di dolore, speranze e amore, dove “il tempo acquista la dimensione dell’istante vissuto” ormai sa che “il Due è il principio della fine”. Pauline è una splendida, amata bimba di tre anni che vive serena in una bella famiglia… poi quel dolore al braccio, la “pallina”, stravolge tutto. Un cancro rarissimo e le metastasi, dopo un anno coraggiosamente vissuto, uccidono questa bimba speciale, allevata con attenta premura in un ambiente colto che le dona amore, educazione e verità commisurate magistralmente alla sua età, permettendole così di cimentarsi fiduciosa di sé e degli altri anche nell’anno che le racchiude la vita.
“Tutti i bambini tranne uno crescono”, scrisse James Barrie ed è così che lei entrerà nella storia di Peter Pan quella che alla sua potrà dare un senso. Pauline, forte ed intelligente, coglie le sfumature e rassicura – sente il dispiacere di papà quando camminano per strada e le persone curiose la fissano con insistenza, è calva e non se ne cura, non vuole mettere il berretto, salvo poi andare a leggere al suo papa la favola della zebra dalle righe sbagliate che prima era triste, ma poi divenne orgogliosa della sua diversità. Ed è anche la tenera bambina che applaudiamo, unendoci al suo pubblico speciale, quando, esile e leggiadra figurina in tutù di cotonina bianca ringrazia con un braccio solo dal palcoscenico bianco del suo materasso. Ma c’è anche tanta allegria, vita e relazioni d’amore in questo faticoso ricordare ma anche irrefrenabile commozione nell’ascoltare il tragico e delicato commiato di quel papa che non crede, ma le sussurra all’orecchio di addormentarsi, alzarsi in volo e guardare la “seconda stella …poi dritto fino al mattino” andando verso l’amata Isola che non c’è. Un padre in un’ inconsolabile desolazione nel momento della fine, la coscienza smette di essere e questo crea un bianco, dove tutto si cancella. Ecco perché tanto bianco troviamo in quest’opera: il bianco della neve che tutto ricopre annullando i confini,… il nulla, “il bianco è il colore nel quale vengono seppelliti i bambini morti”. Lui , lavorando con la favola di Peter Pan, ha fatto vivere ed accettare a Pauline la vita vera, fatta di un tutto mescolato che le schermaglie tra Capitan Uncino e Peter Pan metaforicamente ben rappresentano, e poi i bimbi smarriti, se chiudono gli occhi prima di addormentarsi, in quell’Isola che non c’è ci vanno ben volentieri.
Lui, invece, cerca tra la sua letteratura traccia di altri padri resi “folli” dalla morte di un figlio, convinto che è nell’esperienza di questo attimo straziante che la verità si incontra e si mostra, e che anche “nel romanzo la verità abita nell’attimo in cui la si incontra”. Un romanzo può essere una incisione nel legno del tempo .. ma poi si perde ogni traccia …tranne per colui che si ostina a ritrovare le parole di ciò che fu la sua vita…ma i libri si scrivono al futuro anteriore perché dicono di qualcosa che è passato. E allora qualche lettore si è chiesto perché mai (un ateo?) porti Pauline in chiesa, accenda il cero e quando la bimba è in fin di vita, la faccia battezzare… e cosa ci fa un prete vicino alla sua tomba? Forse è un padre che non sa, la fede non la si può conoscere, si sa accettandola. Lui fa tutto il possibile per la propria creatura ,ma la realtà resta in quell’assurda morte di bimba.
Nel dibattito una lettrice fa notare l’assenza di altri familiari, mentre lei rammenta che in un momento difficile ha tratto sostegno e conforto dalla loro vicinanza.. Loro erano soli, sembra sia una loro scelta, si nota solo un gruppo coeso, possessore di una forza amorosa bastevole per vivere una vita appartata pure nella sofferenza , un gruppo capace però di godere consapevolmente di tutte le piccole gioie che ancora contiene. Sentivano poi quel disagio reciproco che una malattia grave provoca nelle persone, trasformandone la primaria sollecitudine in imbarazzata lontananza. S’è dibattuta e confrontata nel gruppo la diversità nei nostri Paesi, tra le istituzioni e le prassi che riguardano il mondo del malato. Un’altra osservazione: in questo raccontare il papà è troppo protagonista, la mamma sembra assente, non ha quasi parola; altri dissentono, la mamma c’era sempre e solo che in questo libro è il papa a raccontare di sé. Invece alcune affermazioni dell’autore, inerenti sempre la malattia e il malato, ci hanno fatto riflettere: infatti, comunemente si dice al malato che deve combattere la sua malattia, ma è un altro punto di vista quello che c’è suggerito: non c’è una battaglia perché il male non è fuori ma dentro di noi, altrimenti se sconfitti risulteremmo colpevoli. Ma chi è colpevole per la morte innocente di un bimbo? E ancora spesso diciamo d’un malato senza speranza “sarebbe meglio finisse di soffrire, ma quel malato ha trovato troppo lunga la malattia? I genitori di Pauline avrebbero protratto di istante in istante quella morte“ perché non tutte le malattie mortali comportano la “demolizione del corpo e dello spirito” e loro si auguravano “che non finisse mai la sua vita”…
E’ stata molto coinvolgente la lettura di questo libro per molti di noi, tanti sono stati vicini alla sofferenza in ospedale e… inoltre, sorprende e commuove ancor più una lettrice, una mamma, che ci ha fatto dono di un ricordo dolcissimo e tragicamente doloroso, anche lei aveva lasciato il suo bimbo- come Pauline- tra le note di un carillon..la ninnananna.
Ma vogliamo comunque lasciarci con una nota serena portata da chi aveva a proposto questo libro. Grazie a questo testo è riuscita a ritrovare ricordi di momenti felici della giovane mamma che è stata, riconoscendo aspetti anche della sua vita in quella educazione gioiosa e oculata fatta di favole, cose belle e intelligenza, che quei genitori erano riusciti a dare con amore a Pauline.
AUTORE
Philippe Forest, (Parigi 1962) scrittore francese. Critico letterario e cinematografico, è autore di saggi sulla letteratura contemporanea (Storia di Tel Quel, Histoire de Tel Quel, 1995, nt) e di romanzi (Tutti i bambini tranne uno, L’enfant éternel, 1997; Per tutta la notte, Toute la nuit, 1999; Sarinagara, 2004; L’amore nuovo, Le nouvel amour, 2007; Il secolo delle nuvole, Le siècle des nuages, 2010) concepiti come strumenti di analisi autobiografica e di indagine di contesti culturali complessi. Nelle opere critiche più recenti ha indagato la relazione tra genere romanzesco e realtà: Il romanzo, il reale. Un romanzo è ancora possibile? (Le roman, le réel. Un roman est-il encore possibile?, 1999), Il romanzo, l’io. (Le roman, le Je, 2001), Il gatto di Schrödinger (Le chat de Schrödinger, 2013). Ha vinto il Premio letterario internazionale Ceppo Pistoia.