Il dio delle piccole cose di Arundhati Roy

06 Febbraio 2020

Il dio delle piccole cose - Arundhati Roy - copertina

 

L’autrice indiana Arundhati Roy e il suo libro “Il Dio delle piccole cose” irretiscono i lettori con un’affabulazione che tocca tutti i registri di scrittura e del cuore: è amara la storia familiare, incastrata in un sociale egoistico dove ancora una tradizione oscurantista incide attivamente nelle relazioni umane. E’un lontano paese quello in cui siamo stati portati, la Repubblica indiana tra la fine degli anni sessanta e il 1980. Ci conducono voci infantili: quelli di Raphel ed Estha, due gemelli dizigoti dall’anima siamese   quando ormai adulti si rincontrano dopo gli accadimenti funesti che li avevano dispersi. Nuovamente, nella vecchia casa di famiglia dove ancora vive l’ormai teledipendente prozia Baby Kochamma. La promotrice dell’evento finale che li aveva divisi, incistati nel dolore, nel vuoto e nel silenzio. La storia   parte da lontano in una famiglia importante – apparentemente moderna anzi anglofila- di un’India che è stata coloniale.  Loro erano i deprezzati nipotini di un funzionario in pensione, di una nonna che era stata musicista e ora dirigeva la sua creatura: l’Azienda “Conserve Paradiso”.  All’interno della famiglia circola violenza attiva e passiva, perpetrata in special modo sulle donne e persino da chi donna, ancora la subisce peraltro rafforzata da una tradizione che mal distribuisce amore. Papachi è lo stimato marito manesco abituato a distribuire botte… ogni tanto, Mamachi, cui, e negata la musica – il violino le è spiaccicato sulla testa – ama smisuratamente solo il figlio maschio Chacko, cui tutto concede, uomo amabile e mediocre, laureato a Oxford ma talmente indolente da indurre la moglie inglese – sebbene incinta – al divorzio. La sorella Ammu è bella, fragile e ribelle ed è la mamma amorevole di Raphel ed Estha. Lei è ritornata nella casa di famiglia a seguito del divorzio con l’uomo ubriacone e violento che aveva scelto però con un atto d’indipendenza. Ora non ha condizione giuridica, i figli sono diventati illegittimi e in questa famiglia mal si sopportano: con distacco da Mamachi, con invidia dalla grassa zia Baby, malevola zitella per un amore non riconosciuto. Persona importante, poi, agli occhi dei bimbi dall’infanzia ancora serena, è Velutha, il bravo artigiano -falegname con un braccio solo – giovane uomo intelligente e indispensabile alla fabbrica di conserve: però egli è un Parvam,  un intoccabile, e anche se in quegli anni nel Kenala – dove c’era fermento politico e il Comunismo aveva il suo spazio-, le Caste erano state abolite nella società reale sempre intoccabile restava. Tanto che il padre – Velutha ha osato oltrepassare il confine della Casta – invaso dalla paura, lo va denunciare ad una inorridita Mamachi.  Perché Velutha e Ammu si amano, un amore impossibile, notturno e splendido che sa e si accontenta. Sanno che per loro c’è solo il Dio delle Piccole cose, il Dio della Perdita. Ammu aveva visto e colto l’amore ricambiato di Velutha e i suoi bimbi bistrattati, ignorati. La sua Presenza, i piccoli regalini   intagliati, donati porgendoli con delicatezza nel palmo della mano. Poi lei lo aveva visto nell’acqua – il mondo che gli apparteneva- e “Guardandolo comprese di cos’era fatta la bellezza”. La conoscenza di questa relazione e la malevolenza porteranno velocemente ad un susseguirsi di accadimenti tragici che travolgerà tutto e tutti. La cuginetta Sophie visita al papà Chaco muore annegata. Aveva voluto unirsi alla fuga in barca dei cuginetti lungo il fiume. Fuga indotta da più fattori, travisati, come a volte succede nei bimbi quando si sentono in colpa o hanno paura. Ammu, la mamma – scoperta la sua inammissibile relazione-   rinchiusa dentro una camera barrata, in balia dell’impotenza e del dolore   li aveva accusati di esser per lei una “una macina al collo”. Estha poi aveva paura che arrivasse “l’uomo dell’aranciata” quello che lo aveva molestato. Pensavano che al loro ritorno la mamma dopo esser stata in pena per loro li amasse nuovamente e di più. Non sarà cosi ma solo strati sovrapposti di dolore. Baby va alla polizia accusando Valutha di aver stuprato Ammu. Poi assieme al capo della polizia si accusa Velutha anche della morte della bimba. Poi quando Ammu smentisce lo stupro e Velutha ormai è agonizzante per le percosse subite, manipolano i due bambini perché accusino Velutha. Li ricattano spaventandoli dicendo che sarebbero finiti in prigione loro e la mamma, in tre celle diverse, perché la cuginetta è morta è per colpa loro. E’tra l’amore per Velutha o l’amore per la Mamma dovranno scegliere. Sarà Estha, dinanzi all’ultimo sorriso di Velutha a dire quel Sì.  Ammu che ha amato “un uomo portandolo alla morte” e i cui figli “sono colpevoli”, sarà cacciata da casa da Chaco, travolto dal dolore e sobillato dall’ignobile Baby.  Lei non sa come sostenersi, sogna si di aprire un’ipotetica scuola, invece sarà costretta con immenso dolore a lasciare i figli. Uno andrà dal padre, nel silenzio, l’altra resterà in quella casa, nel vuoto e Ammu morirà sola ed alcolizzata nella stanza di un albergo.  “Due vite e l’infanzia di due bambini” sono state tarpate. Raphel ed Estha dopo 23anni stanno ancora nel vuoto e nel silenzio perché colpevoli “tutte e due sapevano che era stato dato loro una possibilità di scelta”.  Poi un’antica rappresentazione Karhakali a cui i gemelli distanti tra loro assistono, “intrappolati in una storia  che era e non era la loro” ha l’ effetto catartico  di far sì che rientrino a casa insieme: Lui e Lei di nuovo Noi. Li avvicina in un atto “incestuoso”, Raphel ha “la bocca della loro bella madre” e loro due si uniscono “come due cucchiai” in un’unione che ricongiunge due anime nel dolore. E ancora una volta si trasgrediscono le Leggi dell’amore.

Come già detto il libro, affascina i lettori pur nella complessità della struttura in quel muoversi avanti indietro nel tempo e nello spazio. Ma è interessante   inoltrarsi in un Paese dalla Storia e condizioni sociali a noi  poco conosciute, è invitante addentrarsi tra i colori e profumi di una natura rigogliosa,  è poeticamente struggente rivelarci  un delicato e intenso  amplesso amoroso  ed è drammaticamente tragico  imbattersi nella   malvagità e  in  un  “destino”-  che gioca tra vittime e carnefici sovrapponendo ruoli , regalando colpe  a bimbi.  E c’è un’altra grande colpevole: quella tradizione culturale fonte di sofferenze perché imbriglia l’amore,  tutto l’amore stabilendo chi si deve amare e chi disprezzare, dimenticandosi  che si viene a uccidere così l’essere umano e la sua dignità.

 

Autore

Arundhati Roy (nata ad Assam nel 1961) è una scrittrice, saggista e attivista indiana. Ha esordito sulla scena letteraria nel 1997 con il romanzo d’ispirazione autobiografica Il dio delle piccole cose (The god of small things, vincitore del Booker Prize), ambientato nel Kerala degli anni ’70, dove convivono intoccabili, comunisti, indù, cattolici, intellettuali, turisti e imprenditori; attraverso le vicende di una famiglia la narrazione ricostruisce quelle più generali di una nazione, le tradizioni culturali e i cambiamenti portati dal contatto con l’Occidente, e spostandosi di continuo dal presente al passato assume tratti epici. Il suo secondo romanzo è Il mistero della suprema felicità, edito nel 2017.
Indirizzatasi all’attivismo politico e pacifista, è diventata una delle voci forti del movimento anti-globalizzazione e ha pubblicato diversi saggi aspramente critici su temi socio-politici quali la crisi della democrazia, il neo-imperialismo, lo sfruttamento delle risorse e il divario fra Nord e Sud del mondo (La fine delle illusioni, 1999; Guerra è pace, War is peace, 2002; Guida all’impero per la gente comune, An ordinary person’s guide to empire, 2004; I fantasmi del capitale, Capitalism. A ghost story, 2014; Cose che si possono e non si possono dire, Things that can and cannot be said, con John Cusack, 2016; In marcia con i ribelli, 2017; Il mio cuore sedizioso, 2019). Tutti i suoi libri sono pubblicati in Italia da Guanda.


Genere: romanzo