04 Aprile 2019
Frankenstein , ovvero Il Prometeo Moderno
Nell’incontro di marzo il gruppo di lettura condivisa si è cimentato con il mitico “Frankenstein”, prometeo moderno nell’epoca romantica. Il libro ci sorprende subito perché per noi – deviati dalle narrazioni cinematografiche – Frankenstein era il nome alla creatura mostruosa e non quello del suo creatore. Inoltre nonostante i suoi 200 anni è un testo piacevolmente scorrevole, dalla bella scrittura chiara e limpida benché nella trama ci siano momenti d’improbabile realtà; si resta così coinvolti dall’ambientazione e dalle emozioni che la lettura corre veloce. Incuriosisce anche la vita alquanto liberale e tragica dell’autrice Mary (Goewin) Shelley ,che appena diciannovenne scrisse il libro. L’opera nasce come passatempo in una singolare tenzone tra grandi personalità romantiche: P.B, Shelley, Lord Byron e Polidori, che solo lei portò a termine dando inizio a quel cammino di successo che è riuscito ad arrivare sino a noi. Un libro, questo, che contiene il respiro romantico che quella “compagnia” viveva, ma incorpora anche altro. Dal romanzo gotico da cui diparte, abbandona la categoria del terrore soprannaturale, trattiene quella dell’orrido, che promana però qui dalla descrizione di fatti concreti, questo incute paura, il “sublime” poi dell’ ambientazione aiuta. Sono fatti suggeriti dalla potenzialità della scienza , anticipatrice questa di romanzi futuri quelli che oggi chiamiamo di “fantascienza”. C’è anche un altro aspetto in noce forse in questo romanzo: partendo dal soggettivismo, attivo ideale romantico questo paradossalmente va contraendosi in riflessione portando i due personaggi principali a un interno che sa di “psicologia”.
La storia è molto conosciuta ed è racchiusa tra virgolette nelle lettere che un giovane esploratore romantico in viaggio verso il Polo Nord scrive – dopo averla ascoltata dalla voce del morente Dott. Victor Frankenstein in quel luogo incontrato – alla sorella. Comincia da un’infanzia felice in una bella proprietà tra genitori amorevoli, nell’intelligenza curiosa d’un adolescente che si propone grandi ideali da attuare grazie alla scienza. Ci sono nuove conoscenze scientifiche che aiuteranno il suo ingegno a portare a compimento un grande progetto quello “di ricreare la vita”; questo il suo impegno ideale da donare all’umanità: una nuova specie, molti esseri felici e perfetti che avrebbero dovuto a lui la loro esistenza. Vi lavora alacremente tra cadaveri e galvanismo, riuscendo ad “infondere calore vitale” ad una creatura nuova. Solo allora la vede e inorridisce, un essere gigantesco dalla pelle gialla che a malapena copre l’intrico di muscoli e arterie, “suoni inarticolati uscivano dalla bocca”, un essere mostruoso lo guarda ed il creatore ne ha tanto orrore da fuggire, per poi cadere a lungo ammalato. Anche la creatura scappa e si rifugia in un bosco. E’ un neonato che presto impara a sopravvivere e dal canto degli uccelli ad apprezzare la bellezza nella vita. Ma ha sperimentato il rifiuto dell’uomo, sa di essere mostruoso e si nasconde in un capanno adiacente a un casolare e da lì spia la piccola famiglia sfortunata, amorosa e colta che vi vive. Ascolta e vede gentilezza e affettuosi gesti, impara le parole e a leggere libri importanti e formativi di Plutarco, Milton, Goethe. La sua intelligenza è acuta, velocissima e sono sentimenti buoni quelli che lui prova; considera quella la sua famiglia e desidera esserne accolto. Lui è solo e brutto, ma spera, quelle sono belle persone ed ha capito che la loro sfortuna deriva da un gesto di generosità. Pensa di poterlo fare, ma quando trova le parole per spiegare, tutti scappano spaventati e in lui la rabbia vendicativa prende il sopravvento. La casa ormai vuota andrà a fuoco e il Mostro si metterà in viaggio per ritrovare suo padre, di cui conosce il nome poiché ha trovato un diario nel mantello che indossava durante la sua fuga, con dentro tutta la gestazione della sua nascita. Ferite dolorose e risentimento per quel padre che lo rinnega lo spingono in cammino vuole risvegliare responsabilità. Questa Creatura Mostruosa però è ancora capace di bontà, salva una bimba dall’annegamento, ma una fucilata ne è la ricompensa. Quando finalmente arriva nei pressi della dimora del suo Creatore avviene l’omicidio del fratellino di Frankenstein che lo sbeffeggiava e minacciava, lui l’aveva rapito solo perché sperava che un bimbo potesse ancora accettarlo come amico. Ma saltiamo pezzi di questo conosciuto racconto, non parliamo delle tante innocenti vittime immolate dalla vendetta del Mostro, andiamo verso la fine. Quando Victor Frankenstein, il creatore sentendosi autorizzato alla vendetta divina inizia la danza estenuante dell’inseguimento, quel rincorrersi a due lungo terre fredde e ghiaccio che lo condurrà stremato alla morte lasciando al capitano Walton l’onere, se lo ritenesse giusto, di portare a termine il compito di uccidere il Mostro. Non sarà necessario, la Creatura, il mostro, ritenendosi colpevole della morte del “padre” si darà fuoco per trovare pace alla sua infelicità.
In quest’opera antica, emozionante a tratti angosciante i lettori si sono schierati in gran parte con la Creatura
Suscita tenerezza questo “mostro cattivo”, rifiutato da tutti, che ha sperimentato il male degli altri su di sé, tutti si sono limitati a giudicarlo dalla sua apparenza, mentre lui avrebbe voluto un nome dal padre e ricevere affetto. Irresponsabilità di un padre noncurante che prova solo orrore per la bruttezza e i balbettii della sua creatura. Eppure quell’essere mastodontico dal cuore di bimbo, tenero Adamo dall’intelligenza vorace che non tollera la solitudine, che all’inizio conosce solo la bontà, che poi riconosce quel bene tramutato in male “l’angelo caduto diventa un diavolo maligno” ma continua a chiedersi perché gli altri innocenti abbiano peccato nei suoi confronti. Un concatenarsi di eventi e disperazione lo porterà alla continua tragicità della vendetta per l’ingiustizia patita (Frankenstein ha distrutto la creatura femminile e mostruosa che doveva consolare la sua solitudine). Vendetta della Creatura e Vendetta divina del Dott. Frankenstein, privo di rimorso verso il mostro creato e che ancora nel morire persegue. E’ questi un personaggio molto malvisto dai lettori, l’hanno considerato debole, vile – cade sempre provvidamente malato nei momenti difficili – e sfuggente nella responsabilità. Osserviamo con più attenzione questo moderno Prometeo romantico: vuol davvero solo vendicare i suoi cari? Non proprio così forse. Il gran rimorso che lo fa muovere, lo consuma e tremendamente lo fa soffrire esula sì ed è distante dalla povera mostruosa creatura ma è il rimorso grande di un creatore che ha commesso un errore che potrebbe recare pericolo all’umanità tutta, non può permettere il perpetrarsi di questa razza mostruosa e pericolosa. Ecco perché non ha portato a compimento la creatura femminile, è il suo rimedio. E’ divina poi la sua vendetta per la malvagità della creatura malriuscita.
Che questo testo sia in parte -prendendo spunto da John Milton – un’accusa velata verso un Creatore che non si cura fino in fondo delle creature? Forse l’autrice sente la solitaria libertà della piccola creatura capace di crescere se stessa nell’ambiguità del bene e male che lo impasta? Troviamo anche in Frankenstein e nel Mostro il segno del “doppio”, quello scambio di emotività e intelligenza che passa dall’uno all’altro e la morte di entrambi sembra sancire. Ma si potrebbe anche azzardare in quest’opera, nata da un’apparizione terrorizzante apparsa in sogno a un’adolescente dalla fervida immaginazione, qualcosa attinto dal pozzo femminile di un inconscio che mescola ragioni: quelle nate dalle influenze liberali e femministi respirate dall’autrice nella famiglia d’origine, quelle romantiche del marito- poeta Shelley, l’ esperienza di figlia orfana in culla unita a quella di giovane madre che un figlio ha perduto. In un lavorio difficile che cerca la via per arrivare all’equilibrio di bisogni conflittuali e necessari alla persona,a… Mary? Resi visibili questi nel romanzo dai due protagonisti: in Victor Frankenstein nell’auto-realizzazione cercata nell’aspirazione costruttiva di un bene per l’umanità e nel suo doppio, la Creatura senza identità, l’affetto che sancisce nel primo riconoscimento il permesso di esistere.
E se nel dibattito abbiamo leggermente sfiorato ciò che riguarda la scienza e l’etica del limite soffermandoci più sulla diversità perché ancor oggi si fa specchio della forte sofferenza dei non accolti in un perpetrarsi di dolore che l’avarizia consegna e imbriglia in paure che alimentano il male.
AUTORE
Mary Shelley, nasce dal filosofo William Godwin e da Mary Wollstonecraft, autrice della prima dichiarazione dei diritti delle donne e che muore poco dopo aver dato alla luce la figlia. Mary viene perciò cresciuta dal padre.
A 16 anni conosce Percy B. Shelley, già sposato, e a 17 anni fugge con lui in Svizzera. Si sposano e hanno tre figli di cui solo uno sopravvive. Il romanzo più famoso di Mary Shelley è Frankenstein, scritto tra il 1816 e il 1817 in Svizzera e deriva dalla proposta di Byron di scrivere ognuno (insieme a Percy e il medico di Byron) un racconto dell’orrore.
Nel 1818 i coniugi Shelley si trasferiscono in Italia. Qui Mary scrive Mathilda (1819-1820).
Nel 1822 il marito muore e lei ritorna in Inghilterra con il loro unico figlio.