07 Luglio 2016
Nel nostro appuntamento di luglio, noi lettori, abbiamo dibattuto un’opera intramontabile e penetrante: Lo straniero del grande Albert Camus. Scritta come cronaca lineare di avvenimenti e pensieri, vissuta con attenta osservazione da uno sconcertante protagonista, Monsieur Meursault. La scrittura pulita e senza enfasi del nostro autore incredibilmente arriva – come è stato detto da un nostro giovane lettore – “a rovesciarti come un calzino”. Nel testo, infatti, attraverso un personaggio tanto avvolto nell’anaffettività da apparire quasi irreale, si traccia e prende corpo quella teoria dell’ ”assurdo” che è la risposta di Camus alle eterne domande che l’uomo si pone: la vita e il suo senso. Monsieur Meursault è un uomo incapace di relazionarsi veramente, prova sì emozioni primarie , ma manca d’umana empatia, e quindi anche di sentimenti negativi verso gli altri; ciò lo rende ingenuo , sincero, accomodante e perfino coerente (non c’è compromesso in lui) verso gli stessi. Egli crede – nella prima parte del libro – che per tutti sia così, infatti, egli dice di voler bene alla mamma “come tutti”. Lui non si sente ancora diverso e invece, per noi, quest’ individuo apatico è un estraneo, quel che vive è al di là del bene e del male, è solo natura – innocenza primaria?-. Inizierà a rendersene conto poi, durante il processo, e il lento scorrere del tempo in carcere gli permetterà di comprendere. Come la riflessione e lo sfogo aggressivo e liberatorio contro il cappellano gli confermano come sia comune per ogni uomo la condanna a morte e che ora ha la capacità d’arrendersi proprio alla sua. Si riconosce momenti vissuti felicemente in quell’assurdità che è la vita percorsa dall’essere vivente. Sì perché il signor Meursault è un condannato a morte, ha ucciso un arabo sembra senza motivo alcuno; ma a questo non si vuol credere, perciò gliene creeranno realisticamente uno ad hoc, giudicandolo però veramente colpevole d’assassinio morale per l’indifferenza mostrata alla morte della madre, per quel viso asciutto davanti alla bara e per l’amante il giorno dopo il funerale, fatti che annunciano un vero assassino. Lui non si difende, sbalordito accetta la condanna e l’avversione che gli dimostrano. Aspetterà d’essere ghigliottinato perché la casualità cui ogni vita è esposta lui sempre, la accetta.. Già nelle prime pagine del libro c’è il distacco di quest’uomo dal sentire comune, non perché quel che ci descrive non possa accadere, ma è l’esagerata frequenza e continuità a esasperare un comportamento rendendocelo straniero. Un po’ straniti abbiamo seguito il suo minuzioso raccontarsi nell’imperturbabile silenzio di sentimenti e in un effondersi di sensazioni tutte corporee. Queste si mostrano nel viaggio in corriera verso l’Ospizio, durante la veglia funebre alla mamma -madre dimenticata ormai anche perché non avevano più niente da dirsi- e al funerale: il sonno, la stanchezza, la fame, il fastidio della luce, la presenza degli altri o il loro silenzio. Il parlare, i rumori e il caldo lo importuneranno sempre; il tutto accompagnato dalle solite parole di risposta, sempre uguali, date in ogni circostanza “è lo stesso”: può essere un’opportunità nel lavoro, oppure la richiesta di Maria di sposarla – non la amava ma “questo non significava niente”- e acconsentirebbe a un matrimonio “che non significa niente” anche se a chiederlo fosse un’altra donna; accetta così anche la proposta d’amicizia di Raymonds, scrivendo per suo conto la lettera ingannatrice per l’amica traditrice. Agli occhi di alcuni lettori questo gesto riprovevole e la falsa testimonianza data in questura a favore dell’amico smentiscono il lato innocente – quella sincerità fanciullesca e controproducente – che altri lettori ravvisano in Meursault. Egli sembra, infatti, accogliere ciò che gli capita cercando di non deludere nessuno salvo il reagire a sensazioni materiali che lo disturbano “le mie esigenze fisiche interferiscono con i miei sentimenti”. Sono percezioni naturali che lo portano a reagire nella sfera emotiva e quindi nei suoi atti. E’ la semplice reazione di un corpo provato da caldo e stanchezza la sua, non vi è nessuna intenzionalità nell’omicidio: sono la lama di luce e il sudore che gli feriscono la fronte e gli occhi a indurlo a premere il grilletto della pistola che il caso gli ha posto tra le mani. Non può provare dispiacere o rimorso, al giudice dice persino di provare un po’ di noia! Perché non l’ha scelto, è stata solo la reazione istintiva a un disagio, ma nessuno comprende quest’uomo ancora convinto di essere “come tutti”. Comunque, se da un lato questa tranquilla forzata anaffettività stupisce e sgomenta, dall’altro mette anche in luce l’aspetto attraente di una libertà scevra dai compromessi che le relazioni con gli altri spesso portano, come quell’ipocrisia che nasce dallo sforzo di adeguarsi al sentire comune che a volte, purtroppo, arbitrariamente si volge ad assoluto umano. Meursault comincia ad intravvedere la diversità, per questo vorrebbe intervenire al processo – sente altri parlare con il suo io – ma desiste “tanto è inutile”; contrasta però, la sua calma: gli altri intorno a lui vogliono, pretendono e con accanimento sembrano mostragli un odio che lui accoglie sorpreso e dispiaciuto. Poi il lento, paziente periodo della carcerazione, il distacco da Maria – al processo quasi si dimentica di guardarla – poi, non ricevendo più suoi scritti, la penserà morta e il piacevole corpo che gli procurava sensazioni belle scompare e con esso il pensiero di lei. Lo scorrere del tempo è colmato dal ripasso di minuziosissimi elenchi d’oggetti e da una piccola finestrella da cui può godere un riflesso del sole che scandisce lo scorrere del giorno. Lunghe riflessioni sulla sua morte gli tengono compagnia, si prepara alternando e blandendo speranza (la grazia) e paura, portandolo a profondità di pensiero che gli disvelano verità. Arguisce che la certezza della condanna a morte – del come e quando – praticata dall’uomo, è abuso crudele perché essa si nutre di astrazioni “in nome del popolo francese” ed è invece implacabilmente decisa – a volte con incoerenza – da normali fallibili uomini . Una sola e catartica ribellione verso la generosa insistenza del prete che è incapace di accettare il pensiero di un’unica solitaria vita. Meursault non vuole nessuna inutile preghiera, nessuna consolatoria speranza spirituale. Vana, perché ora egli non ha più dubbi , paga per quel che ha fatto e nessun altro può condannarlo ancora. E anche la paura – quel suo aspettare sveglio l’arrivo dell’alba e godere poi di una piccola felicità all’arrivo del giorno – si stempera avendo accettato la morte e l’arnese meccanico che, privato dei simbolici gradini d’ascesa, a livello d’uomo andrà a incontrare. Sicuro della sua vita e della sua morte, prima o poi condanna comune di tutti gli uomini. Condanna comune nell’unicità di ogni vita: per cui “nessuno aveva diritto di compiangere, neanche la mamma…. ” perché lei anche nella malinconia di un fine “aveva giocato – con quel fidanzato – a ricominciare” – e del resto ricomincerebbe anche lui la sua. Una vita che non è stata infelice anzi: i colori, gli odori, i sapori, le cose belle, i morbidi corpi tutti sono stati accolti con naturale armonia senza eccedere, godendo le semplici o le grandi bellezze che gli si sono presentate. La voce del gelataio, i palloncini colorati o il lento trasecolare del sole nella notte, la capacità di arrendersi ora “alla tenera indifferenza del mondo”. Un mondo che sente fratello, ma in cui auspica vengano a porgergli un ultimo saluto gli altri …. coerenti con l’odio che li agita..
Meursault è come il testimonial di una parte del pensiero di Camus, quella del non senso. Vi troviamo incarnata in lui quell’inumanità umana che è nell’indifferente natura e nella sua storia, in questa storia la capacità umana dell’inumanità, il tutto giocato nella durata di un’esistenza, com’è in quella di ogni singola vita che si avvia inesorabilmente ed inspiegabilmente verso la morte.
Autore
Albert Camus nasce in Algeria 1913 e muore in Francia nel 1960 in un incidente d’auto. Si afferma nel 1942, e proprio con Lo straniero. Nel 1957 riceve il premio Nobel per la letteratura. La Peste e il saggio Il mito di Sisifo sono altri titoli di opere dell’autore molto conosciute.