05 Febbraio 2015
E’ stata una gran donna, Simone De Beauvoir l’autrice del libro Una donna spezzata, il testo commentato nel nostro ultimo incontro. Una scrittura facile e bella la sua, dagli stili variegati atti al raccontarsi di tre donne diverse, le protagoniste dei tre racconti che compongono l’opera. Sono specchi di donne incastonate in precisi ruoli, che esse credono e vogliono immobili all’interno di un mondo idealizzato e fermo, lontano dai reali cambiamenti della vita che inevitabilmente avvengono procurando loro grande sofferenza.
C’è contrapposizione tra gli i Anni ’60 del libro e l’oggi delle componenti femminili del gruppo che le fa decisamente affermare: “mai avremmo accettato” quello che la protagonista del primo racconto ci consegna nel suo diario. Una lettura che provoca irritazione e malessere, vicinanza e proteste per quel dividere in due il tempo coniugale: quello che il marito dedicherà alla moglie nella tristezza e quello che dedicherà all’amante Noellie, nella gioia condivisa. E poi l’ accettazione eccessiva di Monique che arriva al degrado distruttivo! Doveva lasciarlo subito il marito, come suggerito dalle figlie. Ma siamo nel 1967 e la donna molto spesso non ha l’indipendenza economica, essa è nel matrimonio all’interno del quale molte volte la scappatella amorosa del marito è contemplata e giustificata dicendosi essere diversa la loro sessualità. Ma l’aspetto, molto importante, a cui le mogli allora volevano credere era il loro essere amate, l’essere il perno affettivo della coppia e della famiglia. L’ambiente borghese, poi, improntato al decoro delle parole, dei sentimenti e delle forme, era un mix micidiale che le imbrigliava e considerava sconveniente il loro lasciarsi andare. Ora, finite le generalizzazioni, entriamo nel vivo di questa storia trovandovi dell’altro: una fortissima ambiguità nel marito, quelle sue gentilezze, il ripeterle di volerle sempre bene che lasciano Monique nel dubbio, a dibattersi tra paura e speranza come ci fa capire la frase: ”Come se l’amassi!” detta dal marito ed indirizzata all’amante. Lei s’appiglia con forza alle parole perché i fatti il dolore glieli oscura. Maurice doveva parlarle chiaramente prima, poiché in lui l’amore, in quel lungo vivere assieme, non si è trasformato in amore per l’altro, ma bensì in un malessere personale che lo fa tradire e mentire. Avrebbe dovuto dirlo a Monique, avvisarla senza nascondersi in quell’ingannevole gentile e cortese formalismo. E’ viltà questa, ma lui è un vile e lo è ancora in quel suo andarsene di casa incapace di reggere la sofferenza di lei. Ma Monique stessa non lo ha amato correttamente, non ha sostenuto e seguito il marito nei suoi nuovi e veri interessi, il suo è un amore simbiotico fondato sul bisogno dell’altro. Lei sostiene che è capace di amarlo ancora, che “a lei basta quella vita” che per lei quell’amore non è mai cambiato; di certo ne è convinta perché lei ha vissuto, si è nutrita e vuol vivere ancora in un “noi” che annulla l’io e il tu individuali continuando a perseguire e idealizzare un tempo che non è nel cambiamento. Altra cosa è quel reale essersi votata fiduciosamente agli altri, alla famiglia fino a perdersi in essa ed ora che gli hanno aperto gli occhi scoprire che lei non c’è più. Ora è impaurita davanti a quella porta aperta verso l’ignoto che da sola dovrà attraversare. Il coraggio è un salto necessario e forse sta proprio qui l’occasione per ricostruire la vera se stessa.
C’è una studiosa forte determinata nel secondo racconto, una donna realizzata nel lavoro e nella coppia, nessuna simbiosi con il compagno ma una lunga vita di valori e interessi condivisi. Per lei la crisi arriverà da più fronti: il figlio adulto che si ribella ai valori genitoriali per lei assoluti contrapponendovisi con scelte personali, portandola così a rinnegarlo avendone perso la stima. E qui si è levato dal gruppo “genitoriale” il coro delle rimostranze: “si ama senza condizioni”; “non può essere una buona madre chi interferisce così fortemente e sempre nelle decisioni dei figli”; “è giusto stimolare e indirizzare ma non plasmare forzatamente i figli in canoni esistenziali predefiniti che in realtà sono primariamente i propri.”
Questa donna non vede gli altri, rigida sino a farsi male non perdona il figlio mentre il padre che ne ha compreso la diversità l’accetta. Andrè con il passare degli anni sì è ammorbidito scivolando a malincuore verso la vecchiaia, ammette che ora è uno scienziato senza originalità: “solo i giovani scienziati hanno idee nuove”. Una partecipante suggerisce che la vera crisi viene dalla vecchiaia con i cambiamenti che essa inevitabilmente comporta. Crisi esistenziale dunque, sottovalutata dalla donna, lei crede d’averne varcato la soglia quasi indenne solo perché ha accettato l’aspetto non più giovane del proprio corpo dice infatti “non vedo cosa ci si perda a invecchiare” . Lei però non accetta quell’iniziale lasciarsi andare del marito e il figlio che non ha più bisogno del suo appoggio, arrivano poi pensieri proiettivi che ingannano e fraintendono le parole dette come quel “vacci” indirizzato al marito che mette in crisi persino il loro collaudato e amorevole rapporto coniugale; ma la disillusione lavorativa le aprirà gli occhi, la stroncatura da parte delle critica di quel saggio ritenuto opera innovativa che in realtà si rivela una ripetizione di idee già espresse in altri saggi. Riavvicinatasi al marito e illuminata dalla nuova serenità di lui accoglierà l’idea di un futuro cui si può lo stesso “sempre andare avanti basta non guardare molto lontano”.
Nel terzo racconto il linguaggio scurrile non ha reso gradevole la lettura ad alcuni lettori, altri invece sono stati catturati dal continuo fluire incalzante di parole, un “flusso di coscienza “ a voce alta , che ha agevolato un esser là e condividere risate e compassione. E’ Capodanno, c’è una donna sofferente e arrabbiata Muriel che non vuole restare sola, è psicologicamente alterata, vicina alla paranoia. “Pura e intransigente” si definisce; ha da sempre uno catastrofico rapporto con la madre , un’atavica gelosia per il fratello “non lo posso vedere”, due divorzi alle spalle, un bimbo che vive col padre e il dolore per la figlia adolescente suicida. Lei oggi rivuole nuovamente la famiglia perché “una donna sola che cosa è”, …. “non può stare”. E’ una donna in lotta con il mondo intero, tutti hanno colpa di tutto, anche perché non può coscientemente incolpare sé stessa della morte di Sylvie. Quella figlia che lascia scritto solo al padre ”Perdonami..non ne posso più” ed ecco la girandola di pensieri e giustificazioni: “le bambine detestano la madre”, “Sono stata la migliore delle madri” , “Mi avrebbe ringraziata dopo” , “Bastava avere pazienza” ; non è colpa sua perché lei l’amava tanto sua figlia ed è per questo che ha voluto ed è stata una madre tanto diversa dalla sua.
La lettura ci ha portati vicini alla sofferenza di queste tre e donne alternando momenti di empatia e d’irritazione ma comprendendo sempre il loro star male in un oggi che ha reso noi donne più forti e gli uomini più attenti. Oggi siamo fortunate perché sappiamo che “Donne si diventa”, ognuna dentro la propria identità, consapevoli di dover diventare “madri di noi stesse”. Resta il rammarico profondo per le tante donne sparse in terre aspre in cui la strada della vera identità è ancora molto lunga, oscura e pericolosa.
Autore
Simone de Beauvoir nacque a Parigi nel 1908 e qui morì nel 1986. Laureata in filosofia nel 1929 incontrò nello stesso anno il filosofo esistenzialista Jean Paul Sartre al quale rimarrà legata tutta la vita. Insieme svolgeranno un’intensa attività culturale e politica. Scrittrice, filosofa, intellettuale e femminista. Tra i suoi libri: Il Secondo sesso, I Mandarini e Memorie di una ragazza perbene.