Mi chiamo Lucy Barton di Elisabeth Strout

02 Febbraio 2017

Una scrittura sobria, all’apparenza semplice, quella della brava scrittrice Elisabeth Strout in Mi chiamo Lucy Barton – il testo adottato per il nostro incontro mensile-. Pochi quadri che frammentano tempi, dialoghi di scarne parole ma è cosi che la penna dell’autrice agevola , evoca emozioni intense, dispiega la vita di Lucy. Le insicurezze affettive e non solo che la sua famiglia disfunzionale le radica addosso, la resilienza nel suo sofferto salvarsi. Nell’opera troviamo la complessità di dolorosi rapporti familiari, l’inesauribile desiderio d’essere riconosciuti nell’amore e l’approvazione d’ esserci, nella sofferta interiorità   suggerita dai silenzi tra le parole.

Il libro inizia con il racconto della solitaria degenza ospedaliera di Lucy, sposa e mamma ansiosa di due bimbe nella città di New York, e del cambiamento che porta l’inaspettata comparsa ai piedi del letto di sua madre – a chiamarla per assisterla è stato il marito troppo impegnato. Una madre sofferta che viene da un tempo e luogo molto lontano. La mamma ha ora una voce diversa, la chiama Bestiolina e nello scorrere dei 5 giorni-notte – che le rimane accanto , seduta su una seggiola ai piedi del letto, tra loro s’insinua il piacere per l’insolita vicinanza. Lei le racconta le storie del Paese- persone che Lucy ha conosciuto – e ciò rende possibile tra loro uno strano dialogo che ”e permetteva di parlare come non avevamo mai fatto”: E’ una Lucy “bambina” quella che chiede “dai mamma racconta”, i racconti la coccolano e ricordi del passato, quelli ” che faceva ancora troppo male parlarne” riaffiorano: povertà e fame, violenza, umiliazioni,.terrore, paura e solitudine. Lucy ora vorrebbe raccontarle un po’ della sua vita o chiarire qualcosa di quel passato ma a ogni tiepido tentativo la madre si ritira dietro occhi chiusi e un finto dormire. Però mamma stava lì per lei, sopra al lenzuolo le accarezzava il piede , l’aveva persino cercata e ritrovata percorrendo il labirintico ospedale di notte, aveva pronunciato scuse, quel “Mi spiace” per non  essersi resa conto che tutti i suoi bambini avevano sofferto le canzonature umilianti di tanti compaesani. Le viene dunque il coraggio di chiederle: Mi vuoi bene mamma?’ e ’accontentarsi della ritrosa risposta “quando hai gli occhi chiusi” a Lucy questo,”poco”, basta “ero felice così.” Poi la cartolina da casa -la risposta ad una lettera di Lucy- con la raffigurazione del   grattacielo Chrysler illuminato da cui lei aveva tratto conforto durante il ricovero all’ospedale, è per lei una carezza assieme alle parole segnate “non me lo dimenticherò neanch’io”. Si resta lontani ma il legame rimane, sino all’ultimo incontro con la madre morente che le rivolge quella strana richiesta “ho bisogno che tu te ne vada….Per piacere Gioia”, poi un ’unico “ti voglio bene    mamma” –detto di spalle- di Lucy e tutto si acquieta nell’affetto di un perdono. La vita di Lucy continua, ama le figli,e ma si separa da loro, lei è una scrittrice ”se fossi stata sposata non avrei mai scritto il libro, Lei è Lucy Barton, per esserlo pur amando le proprie figlie ha fatto loro del male, ne è dolorosamente consapevole sa “che dura il dolore che ci stringiamo al petto dura per sempre”.

Nella discussione di gruppo, una lettrice esprime preferenza per uno stile di scrittura più forte e incisivo in modo che si disvelino più chiaramente le gravi emozioni contenute nel libro e le riflessioni che da esse provengono- In altri invece è proprio lo stile delicato del ”detto non detto” a smuovere a suscitare quesiti.: che cosa c’è dentro le persone, a ognuno di noi che ci fa muovere in certe direzioni e certi comportamenti?, E noi cosa siamo riusciti a comprendere di Lucy Barton? Che cosa ha provocato la sua famiglia “che amava male” : nessuna attenzione, dimostrazione d’affetto, gratificazione ma schiaffi dati a caso, pane e melassa, orecchie sporche,regole comportamentali insufficienti, castighi traumatizzanti, emarginazione e umiliazioni; per casa ..,un garage freddissimo, per asilo un furgone terrorizzante e pericoloso e  la ”cosa” innominabile – forse la conseguenza di un evento bellico traumatizzante nel padre, che se viene ad agitarsi, apertamente si masturba.- Come ci si salva da questo degrado?  Lucy cercando riparo dal freddo nel caldo della scuola imbocca una strada, nei i libri viene a comprendere ”che per avere un lavoro fatto basta farlo”, studia è brava – ma non apprezzata dai genitori-. Questa sarà la sua via di fuga, pur nella solitudine ed insicurezza che porterà con se, da quella famiglia e da quel paese. Negli altri figli quali conseguenze invece? Il maschio resterà un bimbo che dorme abbracciato ai maiali condannati al macello e il suo sollievo nella lettura infantile della felice Casa nella prateria; la sorella rimarrà sempre agganciata al livore, rabbia, risentimento Ma perché in questa famiglia le  relazioni sono così disastrose? Poco sappiamo, qualcuno suggerisce come fattore cardine l’ambiente socio culturale –siamo in un piccolo arretrato paese agricolo, in una casa povera, isolata, circondata da sole coltivazioni di mais, eppure Lucy ha una sensibilità diversa – a lei dispiace cosa è stato fatto agli indiani—e sente crescere il granoturco–.Ed è pur vero che tanti genitori poveri e ignoranti donano ugualmente cure affettuose ai propri figli..Qui troviamo un padre traumatizzato e una madre tanto dura da sembrare priva di empatia, una donna –veniamo a scoprire-   che sin da bambina ha dormito sempre a spizzichi, all’erta perche “non si sa mai” cosa può succedere . E’ una madre che non accetta telefonate a carico, che se ne va dall’ospedale senza dare spiegazioni -scappa ?-quando sembra profilarsi per Lucy un’altra operazione. –Il comportamento è inqualificabile agli occhi di tutte le mamme del gruppo –  neppure risponde sul letto di morte al “ti voglio bene” di Lucy, . ma  rende perplesse quel ”per piacere Gioia nella richiesta fatta a Lucy per mandarla via dal suo letto di morte. Chissà , forse questa donna nella vita ha trovato la sua forza negandosi l’esprimere emozioni e ha timore della sua vulnerabilità se non le controlla., oppure veramente non le riconosce o non sa più come esprimerle solo una carezza sopra il lenzuolo e un ciao Bestiolina. Lucy invece è diversa, nel tempo ha   riconosciuto in un gruppo marmoreo, collocato al Metropolitan Museum, la disponibilità dei figli a “ farsi divorare per vedere sparire l’angoscia dalla faccia del padre” .Per fortuna lei è andata via in tempo, anche se ha ferite doloranti in comune con i suoi fratelli, è stata aiutata e rinforzata nel suo cammino dalla preziosa gentilezza degli altri. La gentilezza in cui crede Blanche – Un tram che si chiama desiderio- “”ho sempre contato sulla gentilezza degli estranei” . Lucy ricambierà sempre con affetto e riconoscenza: le sue educatrici che la mandano al college, il professore che rimprovera Carol per averla presa in giro, Jeremy l’amico gay che riconosce la sua solitudine e il suo essere un’artista, suggerendole “Devi essere spietata”se vuoi scrivere ,l’amica Molly e il dottore “gentile” che la guardava prendendosi cura di lei, la scrittrice Sarah Payne che le suggerisce di scrivere ”con un cuore libero”, il nome Passerotto con cui William la chiamava. Nel tempo sicurezza e identità si depositano e Lucy ormai sa d’essere partita già spietata in quel percorso voluto , poiché la spietatezza “sta nell’appoggiarsi solo su sé stessi” . Lei è Lucy Barton segnata da cicatrici e  perdoni reciproci, è riuscita a vivere una vita sua perchè inconsciamente, aveva avvertito lo spirito vitale con forza premere in lei già in un giorno lontano in un tramonto d’autunno “nei campi intorno alla nostra piccola casa” aiutata da una bellezza che comprende il chiaro- scuro della vita “la vita mi lascia sempre senza fiato” .

Autore

Elisabeth Strout vive a New York con il marito e la figlia, ed è originaria del Maine.
Ha insegnato letteratura e scrittura al Manhattan Community College per dieci anni e scrittura alla New School. Suoi racconti sono apparsi in numerose riviste, tra le quali il «New Yorker».
Con Amy e Isabelle (2000), acclamato da pubblico e critica, e vero e proprio caso editoriale, il suo primo romanzo, è stata finalista al PEN/Faulkner Prize e all’Orange Prize, e ha vinto il Los Angeles Times Art Seidenbaum Award per l’opera prima e il Chicago Tribune Heartland Prize.
Con Olive Kitteridge (2009) ha vinto il Premio Pulitzer.
Citiamo anche Resta con me (2010) e I ragazzi Burgess (2013). Nel 2016 pubblica con Einaudi Mi chiamo Lucy Barton.

 


Genere: romanzo

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