09 Giugno 2016
E’ nelle pagine di un diario che Martin Santomè – protagonista del libro di Mario Benedetti: La tregua – ci racconta un anno della sua vita, riuscendo ad analizzare la vita. Una scrittura chiara e intima, tranquilla e intensa, sincera, quella che ci mette in contatto con quest’uomo metodico che si professa “equidistante”, che nel lavoro non ama le sorprese ma ne gusta invece il calmo ripetersi. E’ un riflessivo che ha spostato talmente avanti nel tempo le opportunità ambiziose e oramai sembra essere tardi “quel treno è partito”. Sta aspettando ormai ansiosamente solo la vicinissima pensione ed un ozio che gli consentirà libertà di pensiero e movimento. In tutto questo alcuni lettori l’hanno sentito noioso, monotono sin nell’amore senza ardore, piatto nelle sue settimanali occasioni sessuali, solitario nei pranzi domenicali -ha un solo amico- e irrispettoso nell’andare al caffè per volgere valutativi sguardi alle gambe femminili. Ma chi è Il signor Santomè? E’ stato un giovanissimo vedovo, padre di tre bimbi cresciuti “doverosamente” con un amore restio di manifestazioni; tuttora solo vive con i figli adulti e distanti. Diversità generazionale, caratteriali, pudore e a poca espansività ha reso la loro convivenza formale, solo con la figlia Blanca si apre. Siamo in una Montevideo degli anni ‘50, lui compirà cinquantanni e in quel suo pensarsi, come anche nella patetica descrizione fisica dei suoi acciacchi, appare difficile riconoscerlo in un cinquantenne di oggi. Quando il caso o “Dio” regala a quest’uomo disilluso l’opportunità di un nuovo incanto, ma si tratta solo di una tregua perché la felicità la assapora soltanto. Nel suo ufficio è arrivata una nuova impiegata, la giovane Avellaneda e insperatamente giunge l’amore e, la vita piena. Ahimè lei muore improvvisamente, proprio quando Santomè ha deciso di sposarla (Avellaneda è malata) perché sente la forza dolorosa dell’assenza. Quel “Io e Avellaneda” che in loro s’ era creato allora si dilegua relegandolo nell’ozio della vera solitudine.
Discussione interessante la nostra perché tra le pieghe del diario di quest’uomo, maniaco delle sfumature, delle gradazioni – le gradazioni sottili si dilatano in profondità- . Scorrono pensieri e riflessioni sulla vita si dipanano nei quali ognuno di noi ritrova qualcosa: la vita che trascorre , il chiederci “quando e se già è partito – per noi- il treno”, poi la famiglia, i figli, la terza età, Dio, il lavoro, l’ambizione, la corruzione, il clientelismo, quali cittadini essere, il sesso, la coppia ma soprattutto fa riflettere sull’importanza vitale, rigenerativa che è dell’amore. In questo libro l’amore rinverdisce la vita, un amore guardato con incredulità e sospetto – la differenza di anni e l’idea di uno scorrere ormai scritto: Poi invece accolto appieno, riconosciuto nella felicità di attimi quotidiani, in quel condividere lo sguardo nella pioggia “era il grado massimo di benessere” o nell’intensa quasi estatica, orlata di tenerezza, dentro una fisicità amorosa che è “quasi immacolata”. E la grande importanza di quell’essere accolti “mi dava la mano e non avevo bisogno d’altro…. E questo è amore. ” Lei glielo ha detto in quel l’unico, importante, essenziale, non abusato “ti amo “ . Avellaneda ha detto “ti amo per il tuo buon animo” perché lei guardava oltre le imperfezioni che il tempo aveva inflitto al suo corpo, corpo di cui lui non si vergognava più “mi conosce così non sa com’ero”..La cosa importante era che tra loro si parlano, autenticamente, tanto; lui con Isabel non lo aveva fatto e nemmeno Avellaneda con il suo ex fidanzato, che pure la amava, non si comprendeva , il loro parlare “esasperava”. Con Santomè invece si sente felice, possono essere loro stessi.
Di Santomè non piace la totale mancanza d’ambizione, va detto che nel tempo Santomè riconosce d’aver raggiunto la consapevolezza della propria mediocrità inoltre biasima l’ambizione prevaricatrice e clientelare, detesta i vertici dirigenziali della sua Azienda per aver udito uno di loro esprimersi così: “è errore trattare i propri impiegati come esseri umani”. Riconosce la cultura del clientelismo e della corruzione nel suo Paese e non gli piace la passività dei suoi concittadini e la propria, eppure “unge” per andare in pensione prima.
I figli. Abbiamo riso per la gustosa scenetta a casa di Tonto Vignale, quel pranzo dove alla banda scatenata dei cinque figli è permessa ogni maleducazione – ricordano i nostri giorni – solo fintanto che il disturbo è per gli altri ma ecco che al disturbo genitoriale … zac! arriva la sberla . I figli di Santomè sono con lui educati, chiusi e lui ? Lui tace le preferenze e il suo desiderio di vicinanza. E’ invece un genitore deludente e biasimato per le tremende frasi che rivolge al figlio Jaime quando ne scopre l’omosessualità: “avrei preferito un ladro, un ritardato….vorrei sentire pietà nei suoi confronti ma non ci riesco…né adesso né mai”.
Siamo sì negli anni ’50 ma ecco cosa può far dire e fare una cultura radicata nel pregiudizio, può portare un padre a ripudiare il proprio figlio! Una lettrice fa notare che nel testo si parla della possibilità di un futuro incontro, si lascia dunque aperta una possibilità?
Santomè parla anche più volte di Dio, un …Dio in cui lui vorrebbe credere , un Dio del cuore, del sostegno e del dialogo, un Dio personale, dunque, e quello proposto da Avellaneda quindi non gli aggrada, gli appare come “una grande società anonima”, Avellaneda invece crede in Dio che è Coerenza, egli è il Denominatore Comune, è la Totalità. Ma a conclusione del diario Santomè scriverà così: “Dio è stato quel che mi è sempre mancato di più ma di lei ho bisogno più di Dio”.
Altro aspetto è la sessualità, da lui vedovo è praticata come piacevole igiene. Desta sorpresa il pensiero maschile sudamericano riferito da Avellaneda, dice che per la donna il sesso è tutto -da noi a lungo si è detto che lo è l’amore- lei comunque lo contesta e la vede così, nella donna il sesso è legato alla coscienza per questo colpa e felicità si legano assieme Andiamo dunque a vedere come viene a svolgersi la loro relazione amorosa. Santomè è lentamente attratto da lei ed è lui a cercarla, lei inaspettatamente accetta il suo “caffe”. Santomè si dichiara subito, ha intenzioni vere, se lei vuole la sposa, ma per il suo bene preferirebbe di no, invecchierà prima lui e lei così giovane ne resterebbe legata, in realtà prima inconsciamente poi consapevolmente sa che è delle future ridicole corna che ha paura. Si decide, allora, e si accetta una relazione seria ma clandestina con incluso appartamento per la segretezza della loro relazione. Una lettrice ha espresso disappunto perché lui sceglie l’ appartamento e i mobili di sua iniziativa senza interpellare Avellaneda . Sappiamo però che per Santomè l’acquisto dei mobili è stato un piacere poiché al suo matrimonio aveva badato a tutto la temibile suocera. Altra lettrice considera una delicatezza quel rimandare a un secondo momento l’atto sessuale – sebbene a lui dispiacesse – . Alla prima visita Avellaneda è turbata, imbarazzata, per lei è un passo difficoltoso e sofferto quello che ha deciso di fare – ricordiamo che siamo negli anni ’50 – lei lascia un sogno di sposa; ma è una donna innamorata, intelligente, dall’intuito acuto e generoso e ciò aiuta la sua trasformazione in amante. Lei non accetta il matrimonio, a malincuore offertole, perché sa che questo lascerebbe in lui una piccola parte di risentimento che in lei invece non sarebbe rimasto. Penava anche per la perdita della verginità perché la credeva legata alla coscienza, salvo ricredersi nell’esperienza poi realmente vissuta in cui l’amore ha sconfitto la “leggenda” della colpa . Inoltre è tranquilla perché mamma è a conoscenza della sua relazione, la sua è una madre che comprende. Avellaneda non lo sa, ma lei è stata concepita nell’amore e non dall’affettività fraterna di quel matrimonio, in quel piatto volersi bene che si respirava in famiglia.
Chi è da compiangere è Isabel, la bella moglie della gioventù di Santomè, che lo amava e con cui era stato bene, una grande attrazione sessuale li univa, quando però lui trova una vecchia lettera di Isabel comincia a farsi domande e fa dei raffronti che gli permettono di comprendere il passato e conoscersi di più oggi. Oggi sceglierebbe sempre e solo Avenalleda; con Isabel c’era stata una grande e soddisfacente sessualità “il mio essere diventava sesso in quel corpo e in quella nudità”, e i figli, il lavoro, la quotidianità riempivano tutto il resto. In Avellaneda invece trova e riconosce dell’altro perché il “sesso con lei è solo un elemento “ .” … abbracciare Avellaneda significa abbracciare anche il suo sorriso…..” ecc. ecc. , in quell’abbracciare c’è il riconoscerla e v’è la possibilità del suo stesso riconoscersi …. “Io e Avenalleda”.
Autore
Mario Benedetti (1920-2009), uruguayano, è uno dei maggiori narratori e poeti in lingua spagnola, costretto all’esilio dopo il golpe del 1973. Tra le opere tradotte in Italia: Fondi di caffè, Grazie per il fuoco e Inventario: poesie 1948-2000.