06 Settembre 2018
La Piazza del Diamante questo splendido libro della scrittrice catalana Mercé Rodoreda lascia ai lettori del gruppo il partecipato affetto per Colombetta-Natalia, la protagonista. La scrittura è semplice e adattata al flusso di coscienza di una voce narrante che non usa parole astratte per esprimerne l’interiorità; ma la mostra nel susseguirsi di fatti raccontati con minuzia e metafore rivelatrici, tratte dalle piccole cose che circondano il suo vivere coinvolgendoci. E c’è poesia talvolta anche nella frustrante quotidianità di una piccola esistenza resa più dolorosa e faticosa dal tocco della Guerra Civile. Ma questa non è la Storia di una guerra ma il racconto di un’anima semplice, quella di Colombetta, graziosa e ingenua fanciulla biancovestita. Comincia a Barcellona quando lei a una festa popolare in Piazza del Diamante si lascia abbagliare dalla prepotente e determinata virilità di Quimet “al primo bacio ne seguì un altro e tutto il cielo si annebbiò” un giovane falegname dagli “occhi di scimmietta”. Lui decide che presto sarà la sua Signora e Regina, glielo dice e Natalia lascia un suo corteggiatore e il posto di lavoro alla pasticceria – lui è geloso – e diviene Colombetta nome che per Lui è il solo che poteva portare. E’ felice Colombetta il giorno in cui si sposa, poi la semplice casa, il terrazzo che lei dipinge d’azzurro, la paura e il piacere delle corse in moto, subito un bimbo e appresso la bimba. Quimet è un marito inquieto ed egoista, ma sono quelli gli anni in cui ancora le donne credevano di dovere dedizione assoluta al “paron de casa” annullandosi nel servizio a lui e alla e alla famiglia. Sottomissione che Colombetta mai mette in discussione, v’e la regola principe in quella casa lei “doveva trovare bello tutto quello che lui sentiva bello…Ti deve piacere perché tu non ne capisci niente”. Per renderla più insicura usa lo spauracchio di una certa inventata Maria con cui lei si sente negativamente confrontata. Accetta anche l’arrivo dei colombi fino a ottanta e che poco a poco dalla soffitta occuperanno il suo terrazzo e infine tutta la casa, impregnandola del loro puzzo e costringendola al loro accadimento –porta sacchi pesanti del loro cibo -la “veccia” e poi tanto sporco da pulire. Non ne può più, ma non si può contraddire un marito, provvede allora giocando d’astuzia ed i colombi lentamente spariscono, del resto lei è ben capace di decidere e quando il lavoro di Quimet, durante la Repubblica, comincia a scarseggiare decida d’andare a lavorare lasciando a malincuore i bambini piccolissimi chiusi in casa e consolati dai colombi. Presta servizio- presso una bislacca famiglia borghese trovatale dall’anziana amica Enriqueta e – onnipresente grillo parlante della sua vita. Stanca, delusa e trasparente è Colombetta, “ non si rendeva conto che ero io ad aver bisogno d’aiuto.. nessuno si accorgeva di me e tutti pretendevano sempre di più”, infatti, l’irrequieto Quimet è andato ad arruolarsi nei gruppi di azione rivoluzionaria c’è ora la Guerra Civile e di lui tornerà solo l’orologio., E’ lei a dover pensare alla famiglia e con la vittoria dei Nazionalisti, la Dittatura del generale Franco e la miseria nera, per Colombetta vestita di nero per uno che ha combattuto dall’altra parte non c ‘è lavoro. Vende ogni cosa , le tazze, l’orologio tutto per sfamare i suoi bambini; dormono tutti e tre per terra ma quando lei vede la fame devastare quei piccoli corpi senza poter far nulla decide di morire con loro, si reca alla drogheria dove comprava la “veccia” chiedendo al proprietario dell’acido muriatico ma quell’uomo intuendo qualcosa di grave e le offre un lavoro e nelle mani con delicatezza un cartoccio di cibo. Poi con il tempo quest’uomo le chiederà di sposarlo. Antoni è un uomo molto solo, desidera una famiglia e poiché una ferita di guerra gli impedisce di procreare e con lei ne ha già una bella e pronta sarebbe stato felice di poter provvedere a questa, lei gli era sempre piaciuta. Colombetta ci pensa valuta e accetta. Il signor Antoni è un uomo buono e generoso ama i bambini e i piccoli gli vogliono bene, lei lentamente si abitua a quella casa dove assolutamente nulla di quella precedente ha voluto portare. Un giorno Rita ancor bimba racconta che dopo anni è tornato dalla guerra il papà di una sua compagna e Colombetta la guarda ne ravvisala somiglianza col padre “Rita era Quimet. Gli occhi di scimmia e quel qualcosa che non si poteva spiegare ma che tendeva a far soffrire” è invasa da un’angoscia paurosa teme che Quimet ritorni, ricorda la sua gelosia e ha terrore di quello che potrebbe fare. E la signora Enriqueta che molto spesso chiama i ricordi “ti ricordi di Quimet quando…” e non lei non c’è la fa più a stare in casa, allora esce va nei parchi e comincia a sognare i colombi che non puzzano e non sporcano più, sono belli escono da una torre spiccano il volo “su in aria come angeli di Dio”. Lo dice a una signora seduta accanto a lei nella panchina del parco, racconta delle quaranta coppie di colombi regalatele dal marito e della torre che le aveva costruito, e in un batter d’ali lei diventa per le frequentatrici del parco la povera signora che rimpiange i colombi. Per molti anni Colombetta vive così in un passato mitizzato che la tiene chiusa al presente, ma il tempo sempre lavora e ormai crede alla morte di Quimet e Rita ha finalmente accettato di sposare il suo innamorato. C’è un bel matrimonio e nello stesso giorno c’è anche l’ anniversario di Antoni e Natalia mentre l’inconscio lavora. Quella notte Colombetta si sveglia, prende un coltello e quasi in trance arriva sotto la sua vecchia casa tenta di entrare ma riesce solo a incidere nel portone di casa il suo nome poi si dirige in Piazza del Diamante ora la sente come “una cassa vuota con il cielo come coperchio”, la gola è stretta sta soffocando , un urlo potente erompe, libera, fa uscire “quel pezzetto di niente che mi era vissuto dentro– ed era la mia giovinezza che fuggiva con quell’urlo”. Respira! Natalia leggera e libera di avvicinarsi a “quel letto caldo come la pancia di un canarino” per dire grazie a suo modo a chi sempre l’aveva si trattata con cura e rispetto, va ed ha così tanta paura di perderlo che con un dito ne tappa l’ombelico “perché da lì non le scappasse” poi si addormenta tenendolo stretto e sono loro sì, come “due angeli del cielo”.
Alla lettura delle prime pagine alcuni lettori si son senti delusi poi incredibilmente quasi senza accorgersene erano dentro il patos sincero della vita di Colombetta, lieti poi nel lasciarla chiamandola Natalia. Perché a lei ci si affeziona, buona e sensibile ”– ero fatta così, mi dispiaceva se qualcuno mi chiedeva una cosa e dovevo dire di no”- e insicura “ a casa si viveva senza parole e le cose che portavo dentro mi facevano paura perché non sapevo se erano mie”. Delicatezza e fragilità in questa giovane donna che il suo sposo –e la cultura maschilista dell’epoca- priveranno dell’identità ma non della forza e determinazione. La fatica rafforza la sua forza d’animo preservandone la dignità. Ma perché accetta l’arrogante Quimet e non il tranquillo Pete? Il gruppo propende per un’ inconscia coazione a ripetere il vissuto -anche suo padre era autoritario e insensibile. Qualcun altro aggiunge che molto spesso la donna è attratta dall’uomo Alfa e Quimet lo era. Così lo sposa. Lavoro, stanchezza, ristrettezze economiche, solitudine.. Piccoli pensieri affettuosi per il sensibile Mateu -l’amico di Quimet dal matrimonio infelice- sensibile che la stima e la rispetta e un giorno le ha detto “Quimet non sa quanto è fortunato ad avere te per moglie”. . Povertà e desolazione la fanno di “ sughero e il cuore di ghiaccio perché se fossi stata come prima” non ce l’avrebbe fatta ma non basta, manca la speranza e, allora quel pensiero orribile. La salva Antoni, il cavaliere sensibile solo che ormai lei non c’è. Passano gli anni e un giorno guardando Rita prossima al matrimonio si avvede che il tempo è trascorso “quello che ci fa cambiare dentro e fuori pazientemente” e il mito lentamente scolora ritornando al reale i colombi con la puzza e gli odori di tutta una vita fino agli odori di oggi, quelli “delle lenzuola piene del mio corpo e del corpo di Antoni”, rammenta allora parole sagge dette un giorno dalla signora Enriqueta “abbiamo molte vite intrecciate ma che una morte o un matrimonio qualche volta separava” e i fili si districano e si può vivere il filo della propria vita autentica. I comportamenti di Rita ricordano un po’ quelli di Quimet e il matrimonio, che è anche po’ il suo, e dove tutti la chiamano con rispetto signora Natalia, smuove qualcosa. Tutto lavora dentro di lei portandola per antichi tempi e in e antichi luoghi a incidere l’antico portone con il suo nome: Colombetta, lapide simbolo di ciò era stata fino all’urlo liberatorio, definitivo, in Piazza del Diamante che recide i fili lasciandole il suo.
Tra lettori si è dibattuto molto su quanto l’aspetto culturale e la tradizione abbia profondamente inciso e continuino anche oggi, purtroppo, ad incidere in molte parti del mondo sui generi, caratterizzando ruoli comportamentali maschili e femminili penalizzando sempre quest’ultimo; oscurandone il multiforme spettro identitario e frustrando vite. Voglio qui ricordare le dolorose parole della poetessa Alda Merini “sulle nostre vite infelici molti uomini hanno vissuto di rendita”. Ma noi abbiamo riconosciuto in Colombetta, malgrado quella vita cosi frustrante, una donna forte ma condizionata dalla cultura. Viva antipatia -condivisa anche dai nostri eccellenti maschi lettori- invece per Quimet, benché fosse morto per la giusta Rivoluzione. Rifiutato in toto già dal primo appuntamento nel vederlo arrivare con un’ora di ritardo e senza scusarsi. Simpatia va alla signora Enriqueta, sostenitrice, non solo con consigli ,ma anche con i fatti, di Colombetta. Solo inopportuno il suo continuo “Ti ricordi Quimet quando..”. Toni il figlio di Quimet è un bravo ragazzo, è ora il riconoscente “figlio” di Antoni di cui perpetrerà il lavoro, resterà nel negozio e non continuerà negli studi sebbene gliene fosse data l’opportunità. Lo fa per riconoscenza, ma anche a lui piace stare in quella vecchia drogheria. Stima incondizionata per Antoni, cara persona dall’attenta generosità. Lui ringrazia per la felicità d’avere accanto quella donna e quei bimbi che cresce e fa suoi in una paternità “adottiva” esemplare.
Ed ecco, alla fine del suo raccontarsi, Natalia, serena guardare nell’acqua di una pozzanghera l’azzurro del cielo e poi gli uccellini che vi sguazzano intorbidendo quel cielo nell’acqua e in quel rimescolamento lei sente anche la loro felicità.
Autore
Mercè Rodoreda , nata Barcellona nel 1909 e morta a Romanya de la Selva nel 1983, è stata una scrittrice spagnola di lingua catalana. Esordì nel 1938 con il romanzo Aloma (riscritto poi nel 1969), cui seguì Colpo di Luna. Ventidue racconti (1958), scritto durante l’esilio a Ginevra.
Tra i grandi romanzi si annoverano La piazza del Diamante (1962), storia narrata in prima persona di una donna del popolo durante la guerra civile spagnola, e Lo specchio rotto (1974), ricostruzione dell’ambiente borghese a Barcellona dagli inizi del secolo ai nostri giorni, men06tre tra i racconti spicca Quanta, quanta guerra (1980).