07 Febbraio 2019
Il romanzo Caffè amaro della scrittrice Simonetta Agnello Hornby è stato letto con piacere dal gruppo di lettura, sebbene non tutti ne diano un giudizio pienamente favorevole, per la trama un po’ prevedibile di questa storia d’amore, comunque godibile grazie anche all’intrecciarsi con la Storia. La scrittura scorrevole e le buone capacità descrittive nel fotografare una realtà colta e opulenta ci fanno dono di atmosfere, sapori e della bellezza della Sicilia di un tempo; ci regalano anche emozioni ricordandoci un divario sociale che suscita repulsione e pena. La storia segue linearmente la vita di Maria, pennellata giovinetta all’interno di un delizioso quadretto, che però nel tempo di lettura per alcuni lettori scolora e si allenta. Ma seguire la vita e l’evoluzione di questa donna siciliana è occasione per sbirciare la condizione femminile e la storia sociale di quella Sicilia di fine ‘800 fino alla prima metà del ‘900. Ci apre nuovi sprazzi e ci aiuta a dipanare alcuni preconcetti sulle origini delle anomalie che ancora oggi sussistono presso quella Regione. Di scorcio si intravedono le due Guerre Mondiali e nella storia di Maria la “morte felice” e voluta con cui il romanzo termina. I personaggi principali Maria e Giosuè, un po’ meno forse il marito Pietro, hanno un tratteggio leggero, mentre ben riusciti i sono tutti i comprimari – quel parentado largo delle antiche famiglie del Sud. Tanti nel testo i temi sfiorati, spunti di suggerita riflessione: malgoverno, intrallazzi, mafia, brigantaggio, sfruttamento, fascismo, colonialismo, razzismo, le due grandi Guerre fino a toccare temi quali la depressione post-partum, l’omosessualità, il gioco d’azzardo e il menage consenziente a tre. Ma il libro è la storia romantica di Maria, fanciulla dell’aristocrazia siciliana senza dote, di famiglia socialista – il padre era stato garibaldino. Bella e intelligente dagli occhi a mandorla vuole diventare maestra e lavorare. Il caso vuole che da una finestra incroci lo sguardo con gli occhi del nobile e ricco Pietro Sala che vedendola nel giardino sottostante in tutta la naturalezza dei suoi quindici anni ne resta ammaliato, la vuole e ne chiede immediatamente la mano. I genitori amorevoli e attenti non la forzano al matrimonio ma lei pensando di agevolare la famiglia pur nobile ma economicamente non florida acconsente ponendo però delle condizioni che le possano consentire un po’ di autonomia. V’è da dire che Pietro Sala è uomo di mondo, è liberale, un quarantenne galante che la affascina. E’ gentile ed elargisce una generosità dalle sfumature sensibili ed estetiche, è un colto ricercatore di bellezza, dalla sensualità raffinata che con sapienza stimola positivamente quella ancora acerba di Maria. Dunque, sarà un matrimonio felice: viaggi, case, palazzi, vestiti preziosi e osé, gioielli e cultura (i reperti archeologici nella casa museo). La coppia ha due figli. Il barone suo suocero l’apprezza per il buon senso e le insegnerà l’arte dell’amministrare; lei d’altro canto, si interessa agli umili, facendo scuola ai figli dei servitori e scuola di cucito alle loro madri. Passano gli anni, ormai Pietro non ha più nulla da insegnarle, è giunto il disincanto, al suo fianco ora c’è un uomo immaturo, oppiomane e giocatore compulsivo, tanto che il suocero, per salvaguardare il patrimonio di famiglia, lascia a lei l’incarico di amministrare tutto, suscitando così l’invidia di cognate e cugina, mentre a Pietro andrà solamente una rendita annua.
Lei comunque continua a essere una brava e paziente moglie – si prenderà cura anche della suocera pazza – Si sente però attratta dall’intimo amico d’infanzia e di sempre, il brillante Giosuè, e quando tra le mani le viene un album fotografico, sfogliando i ritratti delle conquiste femminili di Pietro tra le quali c’è anche il suo, le si presenta veloce un ricordo. E quello di sua madre che sembra suggerire il perdono per quei tradimenti maritali all’epoca considerati inevitabili, ma c’è una condizione che “ tu sia sempre considerata la privilegiata” “… ma se ti tratta come le altre … puoi tradirlo….ma non dirlo mai”. Maria la perfetta si permetterà di concedersi così al suo Giosuè perché ora in lei desiderio e amore si sovrappone al fraterno affetto prima per lui provato. quindi quella lunga relazione nascosta con la persona che da sempre l’ha amata e da cui nascerà Rita. Una bimba che Pietro crede figlia tardiva d’un memorabile amplesso amoroso, nella realtà ben calcolato e con seduzione costruito da Maria. Corrono gli anni, Maria e Pietro vivono amichevolmente nello stesso palazzo, ma in appartamenti separati, poi, dopo la morte di Pietro a guerra finita, Maria si ricongiungerà a Giosuè, il quale per anni – essendo di origine ebraica – aveva vissuto nascosto in conventi cattolici.. Non lo sposa, non ne ha il coraggio, loro due vivono all’apparenza come fraterni amici, lei “teme che un’armonia possa incrinarsi” tra i figli rivelando la vera paternità di Rita e allo stesso tempo desidera che Rita sappia d’essere figlia di Giosuè. Questo avverrà con naturalezza in un giorno felice, un giorno profumato da venti gentili nella bella villa quattrocentesca in cui vive con Giosuè, con la visita di Rita e il fidanzato americano al quale in inglese presenta Giosuè come suo padre. Questo riconferma in Giosuè la decisione più volte proposta a Maria di sposarlo e trasferirsi in America. Maria deve decidersi, ma è combattuta, ha sessantaquattro anni e non desidera lasciare la Sicilia, si sente ormai usurata dalla vita. Dunque: restare? Andare? Ha una terza via: morire felice “Si può morire di felicità come scelta, se lo si vuole”. E’ la sua scelta! I lettori su questa si sono divisi, non si può lasciar solo Giosuè dopo che l’ha amata e aspettata per quasi mezzo secolo! E’ una scelta egoistica. Altri son d’avviso diverso: i figli ben sistemati, il suo sentirsi troppo stanca e forse malata, poi Giosuè che è ancora un uomo vigoroso e attraente, tutto ciò rende legittimo il riappropriarsi del suo ego – aveva pur deciso ora Maria di bersi il caffè finalmente zuccherato! Ecco dunque quel scegliere di morire in un momento di vita felice …e questo accade.
Si è notato anche in queste lontane donne siciliane, nascosta dietro la facciata rispettabile di tanta ipocrisia formale, una sessualità, gestita molto liberamente: molti amanti, figli d’altri padri, menage a trois, persino la madre di Maria sa sedurre a tredici anni il maturo e poi sempre amato marito. Una sessualità ben sentita e che nel libro spesso si respira. Le notti amorose con Pietro, i passionali amplessi con Giosuè – ricordiamo quello sfrontato nel salottino della Scala di Milano, punita invece molto duramente nella servitù con l’inevitabile benservito. Percepiamo nella Storia che sfiora questo testo, pur raccontando una storia amorosa circondata da bellezza e cultura l’accusa e il rammarico per una volontà politica e sociale da sempre stata ingiusta con il popolo degli umili. Sono interessanti i fatti storici che vanno a intersecarsi con la vita di Maria andando a ritroso: la Strage dei Pani dove ci furono moltissimi feriti e la conseguente sentenza che non contempla il reato di strage per quei militare che ne furono i responsabili; i continui bombardamenti che devastarono Palermo e la Sicilia facilitati dalle vicine basi di Malta e Nord Africa, l’ospitalità di molti conventi a nascondere i perseguitati ebrei, ma anche le enormi truculente atrocità commesse da noi colonialisti “brava gente” contro l’inerme popolazione libica, talmente raccapriccianti e innominabili da essere tenute a lungo velate. Altra amarezza per quei bimbi i “carusi” mai tutelati, venduti per povertà nelle tante miniere di zolfo siciliane, considerati alla stregua di bestie, trasformati in poveri sub-umani! Un altro aspetto è l’aumento del divario economico industriale tra l’isola e il continente che proprio la I Guerra mondiale incrementa, infatti,tutte le fabbriche belliche sono dislocate al Nord. D’altronde gli errori erano cominciati prima con l’instaurarsi del nuovo “Piemontese” Regno d’Italia che depaupera la ricca Sicilia e malamente la comprende favorendo cosi il grave fenomeno del brigantaggio e poi con gli intrallazzi tra notabili, nobili e mafia – la collusione delle parti sociali più ricche con gli amministratori che governano. Si defrauda la sempre eterna povera gente – le terre del demanio promesse sempre ai contadini e sempre divenute possesso di altri e si delude dopo la venuta di Garibaldi quei giovani intellettuali idealisti che avevano creduto agli ideali repubblicani di giustizia sociale, ideali che volevano si rendessero concreti nella reale giusta gestione della loro Sicilia. Così il padre di Giosuè -che muore per questo- e il papà di Maria, hanno impostato la loro vita. E un lettore lamenta la mancanza oggi di uomini così, dal fermo sincero ideale altruistico tanto lontano da chi ci governa. Vogliamo finire il nostro excursus su note piacevoli il viaggio a Palermo di una nostra lettrice dopo le ultime pagine di Caffè amaro, lei che si aggira con sguardo curioso tra quei Palazzi e vie … cerca , lei che gusta quei cibi che tralasciano l’estraneità per un appagamento che sa un poco di conosciuto,
Autore
Simonetta Agnello Hornby è nata a Palermo, ma vive dal 1972 a Londra, dove svolge la professione di avvocato ed è stata presidente per otto anni del Tribunale di Special Educational Needs and Disability.
Il suo studio legale nel quartiere di Brixton lavora per lo più con le comunità nera e musulmana.
Si è occupata della donna nel mondo arabo ed è autrice di testi legali dedicati all’infanzia. Il suo primo romanzo, La Mennulara (la “raccoglitrice di mandorle”) del 2002 è stato un vero e proprio caso letterario, è stato a lungo ai vertici delle classifiche ed è stato tradotto in molte lingue, ricevendo nel 2003 il Premio Letterario Forte Village; nello stesso anno, ha vinto il Premio Stresa di Narrativa e il Premio Alassio 100 libri – Un autore per l’Europa, ed è stato finalista del Premio del Giovedì “Marisa Rusconi”.
Ha pubblicato con Feltrinelli La Mennulara (2002), La zia marchesa (2004), Boccamurata (2007), Vento scomposto (2009), La monaca (2010), La cucina del buon gusto (con Maria Rosario Lazzati, 2012), Il veleno dell’oleandro (2013), Il male che si deve raccontare (con Marina Calloni, 2013), Via XX Settembre (2013), Caffè amaro (2016), Nessuno può volare (2017) e La Mennalaura (2019). Ha inoltre pubblicato: Camera oscura (Skira, 2010), Un filo d’olio
(Sellerio, 2011), La pecora di Pasqua (con Chiara Agnello;
Slow Food, 2012; Feltrinelli Zoom Flash, 2016), La mia
Londra, Il pranzo di Mosè (Giunti, 2014).
I suoi romanzi sono stati tradotti in tutto il mondo e hanno vinto numerosi premi.