La valigia di mio padre di Orhan Pamuk

06 Ottobre 2016

 

Il secondo testo adottato La valigia di mio padre  del Premio Nobel turco Orhan Pamuk.  Poco si è detto su questo libriccino, poco reperibile e composto di alcune conferenze nelle quali  l’autore esterna  riflessioni  sul  suo essere scrittore e l’importanza  del romanzo.

Orhan Pamuk ha scritto sette romanzi  nell’arco di venticinque anni di lavoro – 10 ore al giorno  in una stanza solitaria- costrettovi  da un bisogno  innato di “ capire,  conoscere, capirsi”,  lenendo per  tal modo inquietudini che sono nella sua natura. Da sempre avido  e raffinato lettore, sin da piccolo entra in mondi sconosciuti   – l’europea biblioteca   del padre- e  illuminati da quegli ideali che fanno dell’individuo un libero  eroe. Ciò comporterà all’inizio del suo scrivere,  egli è turco, di considerarsi  ai margini di un centro situato altrove. Ma lo scrivere e lo scorrere del tempo  gli donerà la consapevolezza  che  nella letteratura  si trovi  “il tesoro accumulato dall’uomo alla ricerca di se stesso” e  dunque  “scrivere è prendere coscienza delle fonti segrete di noi stessi”  vi si parla “di cose che tutti sanno, senza essere consapevoli”. Egli comprende che tutti gli uomini si assomigliano e  dunque non vi è un centro stabilito  perché “l’unica umanità è un mondo privo di centro”. Ora può accogliere il centro del suo mondo, la sua :Istanbul. Ci sono, infatti,  delle “regole magiche nell’arte” di scrivere: raccontiamo di noi e il racconto è di tutti, raccontiamo gli altri e diventano  anche la mia storia. Se riusciamo a metterci nei panni degli altri, ci liberiamo di noi stessi e favoriamo al contempo anche la nostra identità. Sin dal tempo dei miti, le favole e il romanzo, in questo sentito immaginario il mondo  svela verità.   E quando noi   immersi,  assorbiti  in una lettura empatica, ci ritroviamo nei panni degli  altri andremo  a incontrare  la tolleranza, la similitudine e anche diversità della nostra identità. Questo riesce a fare la grande letteratura  ed è proprio  nel  romanzo ,”il libro che meglio assorbe dalla realtà”, attraverso un’’immaginazione che trasmette significati altri   anche noi, possiamo arrivare a comprendere quale potrebbe essere il nostro centro di significato.

 

Autore

06 , scrittore turco, Premio Nobel per la letteratura nel 2006.
Abbandonati gli studi di architettura, esordisce con il romanzo Il signor Cevdet e i suoi figli (1982), affresco di tre generazioni ambientato nel quartiere natio di Nisantasi, con il quale ottiene grande successo; cui sono seguiti La casa del silenzio (1983) e Il castello bianco (1985), nei quali l’incontro tra un giovane veneziano e uno studioso ottomano è pretesto per affrontare quello, problematico e conflittuale, tra Oriente e Occidente. Lo stesso tema ricorre, declinato in modi diversi, anche nei più recenti Il mio nome è rosso (1998, premio Grinzane) e Neve (2002), dai risvolti più marcatamente politici. Istanbul (2003) ha affascinato per l’abile tessitura che cuce ricordi d’infanzia nei colori diurni e notturni della città.
Tra gli altri titoli si ricordano: Il libro nero (1990, una delle letture più controverse del panorama turco), La nuova vita(1999), Romanzieri ingenui e sentimentaliLa stranezza che ho nella testaLa donna dai capelli rossi (2017)
In Turchia Pamuk è stato oggetto di persecuzioni e di episodi di censura per le sue posizioni sul genocidio degli Armeni e dei Curdi e per essersi schierato in difesa dello scrittore Salman Rushdie.
I suoi romanzi, tradotti in più di quaranta lingue, sono spesso sospesi tra il fiabesco ed il reale e rispecchiano la Turchia di ieri e di oggi.
È stato insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 2006 per aver saputo trovare «nuovi simboli dello scontro e dell’interrelazione tra culture».
Nell’aprile 2011 apre ad Istanbul il Museo dell’innocenza, percorso da lui stesso curato attraverso una collezione di oggetti, foto e memorabilia che costituiscono un complemento oggettivo al romanzo omonimo del 2008.
Nel 2012 Einaudi pubblica un libro illustrato intitolato L’innocenza degli oggetti, nel quale Pamuk racconta la genesi di romanzo e museo, e illustra attraverso i suoi testi alcuni degli oggetti facenti parte della collezione. Nel 2017 esce una nuova edizione illustrata di Istanbul.

 

 


Genere: romanzo, saggistica

Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar

03 Aprile 2014

Giovedì  3 Aprile il gruppo di lettura è entrato in una Storia lontana  e in  un’ interiorità vicina, presentato, infatti, da una grande estimatrice (che ne confessa  le reiterate letture): Memorie di Adriano, libro di rara bellezza della  grande scrittrice Marguerite Yourcenar. Quest’opera,  sostenuta da un linguaggio  colto e lirico ove  i paesaggi  prendono corpo  entro accattivanti  metafore poetiche, ingloba  in sé umanità e sapienza   a raccontarci con equilibrio perfetto   la Storia  e un’ individuale  esperienza umana. Qualcuno di noi ci informa che, pur confermandone tutti i meriti, lo ha  sentito più testo scolastico che romanzo altri invece che la troppa erudizione nelle sue pagine non rende facile l’approccio a molti; inoltre,  si è giustamente rilevato che per intenderlo appieno  forse dovremmo  aver già raggiunto  l’età  dei nostri primi bilanci esistenziali. Il libro racconta, infatti, l’esperienza di una vita: quella di  Adriano, uomo e imperatore. Già dalle prime pagine  si resta colpiti dalla lucida consapevolezza   che lo permea.  Ad accoglierci sono  le autentiche parole di Adriano: “Piccola   anima smarrita…” le stesse  che poi ne  scandiscono  la fine. Una lunga  lettera confessione  a ripercorrere una vita  che cerca la sua  Itaca, avvicinandosi  e allontanandosi alle tre linee sinuose, che  per la Yourcenar   corrispondono  a ciò che un uomo ha creduto d’essere, a ciò che ha voluto essere, a ciò che è stato.  Ma seguiamola ancora  in quei Taccuini  d’appunti,  messi in nota al testo, nelle  parole di Flaubert  che  lei trascrive perché  possono aiutare a comprendere   quest’uomo libero,   capace di essere sé stesso: ”Quando gli dei non c’erano più e Cristo non c’era ancora  c’è stato un unico momento  in cui è esistito l’uomo solo”.

Incontriamo subito  un uomo stanco e malato, chiuso ormai in un corpo dalle “stanze dismesse”,  non fermo  però nel rimpianto di  antichi piaceri poiché egli avendoli conosciuti  non li ha completamente perduti e empaticamente talvolta riesce a recuperarli.  Restiamo poi stupiti dell’uso della volontà, la sua capacità d’assentire, il suo sentirsi il “più libero e allo stesso tempo più sottomesso degli altri uomini”, una volontà che  vuole assecondare il destino ,  egli obbedisce ma è lui a volerlo!! E continuiamo a spizzichi e a balzi le nostre impressioni. Ci siamo chiesti del rapporto di Adriano con il mondo delle donne:  per esse fu  favorevole legislatore  ma  nessuna fu   da lui completamente amata; belle  e frivole  amanti ma della cui bellezza  si accorge solo in un attimo di disarmante autenticità. La moglie  Sabina è  un gradino usato solo per avvicinarsi  al potere, questa matrona fredda e severa  solo una volta nella vita rivela  di quanto odio la sofferenza l’abbia intrisa. Ma  è solo Plotina, sostenitrice e complice della sua ascesa  all’impero, l’unica donna, l’unica  vera relazione della sua vita, una  relazione paritaria  d’amicizia e amore spirituale. Essi sono  legati  dalla stessa visione del mondo quasi  a sentirsi un’anima sola, ma  non è amore carnale, quella passione è per Antinoo e  scaturisce dalla bellezza perfetta  di quelle forme. Dobbiamo ricordare che Adriano  “pensa e vive da greco”,  e l’amore in Grecia è  la bellezza e chi la incarna, non importa il genere sessuale ma solo i ruoli all’interno di esso, quello attivo maschile  del più anziano  e quello  passivo femminile dell’efebo. Dunque non  paritari. E Adriano,  che pur aveva intuito nell’amore  “una forma di iniziazione ove il segreto e il sacro si incontrano”,  lui attento osservatore, non coglie il dramma nelle lacrime di Antinoo  il quale vuol  sì fare sacrificio e  dono di se, inglobandosi al Genio dell’imperatore.  ma  non solo questo: v’è la disperazione di un amore adolescenziale e assoluto che pensa di perdersi con l’arrivo della peluria d’una giovinezza matura. Seguiranno invece  al dono dubbi, dolore, un immenso rimpianto e una tenue speranza.

Ma Adriano è  soprattutto  l’imperatore che  fa della bellezza lo scopo della sua vita, per tal scopo ha   voluto e perseguito con costanza  il potere  perché  lui, dalle idee  chiare (le parole greche),  sa che   il potere   gli  darà la libertà, come servitore  dello Stato, di portare ordine, giustizia, sicurezza e bellezza  in tutto l’Impero Romano.  Egli crede  nella positività della pace, cambia quindi la politica espansionistica di Traiano,  restringe i confini di quell’Impero troppo vasto, non sfrutta le Province  ma si muove tra esse in interminabili e costruttivi viaggi, legifera, organizza , edifica. Queste sono le parole che  egli fa incidere sulle sue   monete: Umanità Felicità Libertà  perché é  questo che egli vuole nel  suo mondo. Vuole  coniugare  i due aspetti che lo animano, lo spirito greco  dagli eccelsi pensieri e la  forza fattiva del concreto  pragmatismo romano. C’è anche un altro aspetto  positivo  in Adriano: ama  l’esotico, è aperto al diverso, perciò a suo agio  ovunque. Quando raggiunge i quarant’  anni,  si sente un dio, ha raggiunto l’acme per il suo mondo e per sé stesso. Età  aurea,  questa per lui, di un dio però tutto umano.

Ci sono comunque aspetti non limpidi nell’esistenza di questo imperatore: la  dubbia adozione di  Traiano, come  consolida ad inizio Impero  la sua investitura (l’uccisione  dei quattro consolari), la sentenza di morte per il cognato e nipote  sentita  come  un regolamento di conti,  l’adozione di un favorito a succedergli (fortunatamente

Autore

Marguerite Yourcenar è lo pseudonimo di Marguerite Cleenewerck de Crayencourt , nacque a Bruxelles nel 1903 e morì a Mount Desert negli Stati Uniti nel 1987. Si trasferì negli Stati uniti nel 1942 dove insegnò in varie università. Nel 1981 fu la prima donna a essere ammessa alla Académie Française. Il suo primo romanzo usci nel 1929. Il grande successo internazionale le arrise con Memorie di Adriano nel 1951. Fu anche saggista, poetessa e scrittrice di opere teatrali.

 


Genere: romanzo, saggistica

Bibo, dalla palude al cemento. Una storia esemplare di Nadia Breda

6 settembre 2012.

Nuova, per il gruppo di lettura, la serata di giovedì 6 settembre, tra noi, infatti, la gentile autrice dell’opera “Bibo. Dalla palude e cemento. Una storia esemplare”: Nadia Breda ricercatrice e docente di Antropologia dell’ambiente. L’autrice con una breve e chiara esposizione ci spiegava il concetto della nuova Antropologia ambientale, il perché della sua importanza e come siano poco sostenute le sue ricerche e le relative pubblicazioni. Ci ha poi illustrato con immagini e parole la sua ricerca sul campo, rievocando (invitata dalla nostra curiosità) la sua ventennale vicenda intrisa di fatti, di studio ed interiorità. La storia inizia con la decisione di costruire una piccola autostrada che dovrà attraversare le risorgive dei Palù e la “sua” terra,  questo andrà ad intersecare la disciplina di studi che Nadia ha intrapreso. Il libro racconta di  tutto ciò; l’opera è strutturata a più livelli:- saggio, con le attinenti conoscenze specifiche; -omaggio ad un’orgogliosa appartenenza e alla difesa di una terrà e agli esseri timidi che  li vivono in equilibrio con essa; -documentazione puntigliosa, approfondita, della lunga e necessaria lotta per proteggere e difendere questa splendida biodiversità. Lotta questa non pienamente compresa e sostenuta da chi ha ormai accettato i cambiamenti, offerti dallo scorrere del tempo, solo nell’accezione di profitto economico e/o di egoistiche opportunità. Scontro tra forze impari e non sempre leali, legate a poteri economi e politici con grandi possibilità di accesso ai mass-media. Questi ultimi, fautori a volte di informazioni devianti o martellanti, atte a condizionare il retto giudizio delle persone.

Storia esemplare, dicono le parole del libro. Per noi, opportunità di informazioni e riflessioni.  Un Noi che si riconosce purtroppo debole, quasi impotente, ma ugualmente desideroso di far qualcosa contro questo progresso “miope”.  Esso difficilmente ci permette di riconoscere alternative diverse  per  riuscire  a vivere  consapevolmente e costruttivamente nel nostro habitat.

 

 

L’Autore

Nadia Breda è ricercatrice e docente di Antropologia dell’ambiente all’Università di Firenze, ha scritto testi di Antropologia, vive a San Vendemmiano


Genere: romanzo, saggistica