04 Ottobre 2018
Rosella Postorino, giovane scrittrice calabrese, è l’autrice di Le assaggiatrici. Il libro è nato dal curioso interesse per il segreto tenuto per lunghissimo tempo da una donna molto anziana: l’ essere stata una delle “assaggiatrici” di Hitler. Grazie ad una scrittura piana, limpida e a una seria accuratezza storica condita di buona immaginazione è riuscita a catapultarci nel 1943 a Gross-Partsch, piccolo paesino a 2 chilometri di distanza dalla segretissima Tana del Lupo dove Hitler dimorava. L’autrice ci porta in terra tedesca provata da fame e paure vista da un’angolazione insolita e quasi tutto femminile.
Quella delle assaggiatrici di Hitler è un’aggregazione imposta, dieci donne “senza uomini”, cavie, occupate a ingerire tre volte al giorno il cibo preparato per il loro Fuhrer, potendone morire avvelenate; agli uomini “eroi” è riservata la guerra. Nel romanzo, tra salti temporali e amare riflessioni, Rosa Sauer si racconta: è giovane da poco sì è trasferita da una pericolosa Berlino alla casa dei suoceri – il marito già da tre anni è partito volontario per la guerra. Viene però subito reclutata per questo particolare “lavoro” assieme ad altre donne del luogo che la snobbano per la sua aria cittadina ed elegante. Lei invece cerca benevolenza così regalerà vestiti e ruberà latte dalla cucina del Fuhrer per farsi accettare. Dieci assaggiatrici e solo due o tre sono le “invasate” che s’immolerebbero per Hitler, lei certamente no, la sua famiglia non era nazista e Rose è ancora delusa perché il marito ha scelto la guerra invece di un figlio con lei; anche Elfriede è estranea al paese, spigolosa, ombrosa e leale. Tutte hanno in comune tanta paura e tanta fame e in quella convivenza forzata verrà a formarsi un fronte solidale e amicale mentre il nemico saranno le SS che le sorvegliano e il rigidissimo capitano Ziegler il loro comandante. Traendo sostegno l’una dall’altra tra segreti che si svelano e segreti che non si sveleranno, ma “si può essere amiche anche nel segreto” e tra i sensi di colpa che non spariranno più. Rosa non è riuscita, infatti, a salvare Elfreide dopo aver scoperto che era ebrea, non l’ha avvisata fidandosi del capitano Ziegler suo amante “segreto” che l’ha dissuasa convincendola, avrebbe fatto lui il possibile per Elfriede. Salva però lei procurandole un passaggio clandestino in treno sino a Berlino prima dell’imminente arrivo delle truppe russe. Questa relazione era nata nel disperato vuoto in cui precipita Rose alla notizia del marito disperso in Russia e dalla forza di uno sguardo insistente e notturno che porterà il suo corpo nel fieno di una stalla, dentro un calore che annulla spazio, tempo e responsabilità in una intimità istintuale e bambina che la farà sopravvivere.
Rincontriamo Rosa trent’anni dopo mentre va ad accomiatarsi dal marito morente Gregor che dopo un anno dalla fine della guerra, irriconoscibile e malato è tornato. Un miracolo questo, un regalo che va curato e accudito in ogni modo; lei guarirà il corpo di quest’uomo ma ci sono dolori e segreti troppo grandi e le tante difese per non far male o farsi male innalzano “barricate” tra loro invalicabili così lui dovrà allontanarsi per vivere – si risposerà, avrà figli e nipoti. Lei lo lascia andare perché lei può solo sopravvivere. Oggi stanno per dirsi addio, lui con occhi tenerissimi le dice che era stata “inavvicinabile”. forse se fossero riusciti a parlarsi sinceramente…sarebbe andata diversamente, ma lei sa che non sarebbe stato così “ non ho mai dimenticato” e dice “hai fatto bene ad andare avanti” e lui “si ma tu sei rimasta sola”, poi compie un gesto a loro molto caro che esprime fiducia e amore, gli tocca con le dita la bocca e lui la apre per baciargliele. Ma è triste vederla lì alla mensa dell’ospedale, anziana e sola davanti ad un piatto di fagiolini e una mela – Hitler non mangiava carne – , poi seduta con le mani posate sul ventre aspettare quell’ora quindi alzarsi e andarsene.
Interessanti riflessioni, ci suggerisce la lettura di questo testo spostando lo sguardo con più clemenza sul popolo tedesco, perché ogni popolazione nella guerra soffre tra paure esterne e interne tanto anche da non voler aprire gli occhi, voler sopravvivere, non vedere se si produce il male, non volerlo riconoscere. Lo riconosciamo in Rose quando in un momento di sconforto e intimità Ziegler vuole raccontare il malessere che lo ha portato a rinunciare a incarichi più importanti in Crimea – l’assassinio giornaliero di 50 donne indifese e nude – lei non vuol sentire né approfondire . Perché lei non si ribella “anche se da tempo mi trovavo in posti in cui non volevo stare” acconsente per sopravvivere “ogni eroismo mi sembrava assurdo” anche se ogni volta qualcuno le veniva potato via, anche se si sente in colpa da tanto tempo, colpe, che tiene segrete dentro di sé. Nel rifugio è morta sua madre e non lei che ha tradito i principi di papà che odiava il nazismo, mangia, infatti, tra terrore e sazietà quel cibo salvavita per Hitler, ha tradito il complice affetto dei suoceri con cui condivideva l’esperienza della perdita – l’amore nella loro stalla. Vergogna non colpa in vece per il suo tradimento verso Gregor ora è solo un pensiero e non ha mantenuto la promessa di farla felice. La colpa più grave è stata verso Elfriede quel suo aver dato fiducia e non aver agito, atteggiamento che penalizza l’essere umano. Di questo si è parlato: quanto il sopravvivere costi, non ci si perdona più e si resta a metà “vivere da miserabili pur di non morire”.
Che persone saremmo state noi , quale il nostro comportamento? Inutile domanda manca quel necessario essere in loco per riconoscerci. Comprensione e compassione per chi sopravvive, calda ammirazione per Elfriede, coraggiosa e generosa che difende i diritti anche a nome di chi non è capace con la conseguenza d’essere poi scoperta come ebrea e inviata al campo di sterminio, rimane esempio dignitoso e pieno di essere umano.
Qualcuno ha riscontrato come i personaggi delle assaggiatrici avessero poco spessore, è suggerito che erano consone al contesto e al ruolo che avevano, guardinghe e chiuse avvolte nelle paure e in un clima di sospetto non potevano aprirsi a tutto tondo, eppure ugualmente c’è salda solidarietà e tra loro s’instaura lo stesso un fronte comune che solo una violenza esterna rompe – una minaccia reale contro i bambini di Heike quella che farà il nome del dottore che l’ha aiutata ad abortire, il padre di Elfriede.
Anche sul matrimonio sono interessanti le parole di Rose che lo vede come “sistema fluttuante… destinato a finire…e il suo “diritto a sopravvivere”. Ci siamo chiesti perché Rose al ritorno del marito sia riuscita con amore ad accudirne solo il corpo sofferente di “bimbo” rifiutandolo dopo quando voleva essere corpo di uomo per lei e che rapporto fosse stato allora il suo con Albert Ziegler, questo legame senza fiducia eppure con un così intimo riconoscersi di corpi – lei assocerà per sempre l’odore del fieno all’amore – Ziegler amava sentire il suo canto, Gregor la zittiva.
Si sorride e si scuote la testa a destra e sinistra per l’esauriente e deso0lante disamina di Rose riguardante la meccanica e il significato del saluto nazista quell’Heil Hitler a braccio e mano tesa in “cui è necessario contrarre tutti i muscoli del corpo…e … “metti la tua anima nel braccio, offrila al Fuhrer!” .
Autore
Rosella Postorino è cresciuta a San Lorenzo al mare (IM) e vive a Roma. Ha esordito con il racconto In una capsula (Ragazze che dovresti conoscere, Einaudi Stile libero 2004), ha poi pubblicato alcuni racconti e un saggio di critica letteraria, Malati di intelligenza (nell’antologia Duras mon amour 3, Lindau 2003). Il suo primo romanzo, La stanza di sopra, uscito a febbraio 2007 per Neri Pozza Bloom, è entrato nella rosa dei tredici finalisti del Premio Strega e ha vinto il Premio Rapallo Carige Opera Prima e il Premio Città di Santa Marinella. Collabora con le pagine romane del quotidiano «la Repubblica» e scrive su «Rolling Stone».
Ha pubblicato inoltre L’estate che perdemmo Dio (Einaudi Stile Libero, 2009; Premio Benedetto Croce e Premio speciale della giuria Cesare De Lollis) e Il corpo docile (Einaudi Stile Libero, 2013; Premio Penne), la pièce teatrale Tu (non) sei il tuo lavoro (in Working for Paradise, Bompiani, 2009), Il mare in salita (Laterza, 2011) e Le assaggiatrici (Feltrinelli, 2018). È fra gli autori di Undici per la Liguria (Einaudi, 2015).
Con Le assaggiatrici si aggiudica il premio Campiello 2018.