Patria di Fernando Aramburu

06 Dicembre 2018

Patria - Fernando Aramburu - copertina

Patria” è un evento letterario, il libro di successo, voluminoso ed avvincente dello scrittore Fernando Aramburu, è stato discusso dai lettori a dicembre. Testo rappresentativo di quanto il fanatismo incistato nell’ideologia della diversità crei divisioni tragiche e sofferte, tra vittime e assassini che abitano quella stessa “Patria”. Questo ha fatto il gruppo irredentista dell’ETA con la sua guerra armata e i lunghi anni di terrorismo finiti solo oggi nel 2018. Voleva l’autonomia territoriale dei paesi baschi, abitati da una etnia antica unita da una lingua antichissima e dalla cultura che aveva già l’autonomia governativa sancita nel 1978 dalla Costituzione Repubblicana Spagnola. E noi ne costateremo le dolorose conseguenze seguendo le vicissitudini di due comuni famiglie basche partendo dagli anni ’70 del Novecento

La scrittura è semplice, condita da parole basche e gergali di un osservatore esterno che muovendosi tra salti temporali e soggetti diversi riesce a darci altri punti di vista e una conoscenza più ampia della realtà, sebbene i capitoli sembrino a volte ripetersi. Un romanzo corale dove i personaggi, a tutto tondo, si muovono tra legami familiari e amicali consuetudini. Ecco dunque Bittori e Miren due casalinghe e amiche sin da ragazze quando desideravano farsi suore, ora mogli e madri tradizionali; caratteri somiglianti perché entrambe dure testarde, orgogliose e poco sensibili. “Miren aveva la sensibilità di un tubo”. Sono loro a tenere le redini di casa: Txato e Joxian, i due mariti: Txato, generoso e gran lavoratore, è riuscito a diventare il proprietario di un’azienda di trasporti, l’altro, operaio in fonderia, con un piccolo orto che coltiva e per il quieto vivere succube della moglie, grandi amici di bicicletta, osteria e carte, due figli il primo, Xaber e Nerea, tre il secondo Joxe Mari, Arantxa ,Gorka ed un’infanzia comune, poi i primi all’università gli altri al lavoro. Per anni la vita è questa sino a quando accadrà qualcosa che stravolgerà i rapporti, arenando tutti i membri delle due famiglie in una sterile sofferenza. Solo per Arantxa, la figlia di Miren, non sarà così: è sposa di Guillermo che parla solo spagnolo e dopo – colpita gravemente dall’ictus quando ritorna alla casa materna e avrà la forza di continuare ad avere la forza per essere pienamente se stessa, una donna scevra dai pregiudizi, leale e coraggiosa.

Ma cosa è successo in questo paesino vicino a San Sebastian in cui l’ETA è di casa: il prete afferma che “Dio ci ha assegnato una missione: la nostra identità”, nei bar campeggiano icone di eroi in esilio e barattoli pro offerte obbligatorie per i carcerati della lotta armata. Si partecipa poi alle manifestazioni e i ragazzi adolescenti si sentono forti e apprezzatiti se scrivono slogan sui muri, si incendiano bandiere spagnole o si da fuoco agli autobus. Miren è una mamma un po’ invidiosa – è Tatò a comprare la bicicletta a suo figlio, il braccialettino alla figlia ed i gelati a tutti- che s’inorgoglisce di un figlio – troppo vivace e poco lavoratore – che sceglie assieme a due amici la lotta armata; e poiché una madre deve stare dalla parte di un figlio, bisogna giustificarne le azioni diventando essa stessa una patriota a oltranza “Siamo Abtertzale o cosa siamo?” e di punto in bianco partecipa alle manifestazioni. Alle prime scritte sui muri contro “Txato traditore, il voltafaccia” tradirà la lunga amicizia non rispondendo più al telefono a Bittori, allargando poi alla famiglia il divieto di salutare gli amici di sempre; Joxian a malincuore si adegua – penosa la pedalata domenicale in cui rimane indietro per non restare in compagnia di Txato, e quell’avvisarlo di nascosto perché gli resterà amico anche senza salutarlo- E’ vile e ha paura, ma tutto il paese che conosceva Txato come brava persona, si dimostra vigliacco e si mormora però a giustificazione “che qualcosa avrà pur fatto”. Qui inizia il punto di svolta che condizionerà le vite delle due famiglie incanalandole. Attorno a quella di Txato ora il vuoto e il silenzio, parlano le scritte accusatrici, torture psicologiche ed i dispetti – le interiora del pollo nella cassetta delle lettere e minacce sempre più gravi perché la seconda esorbitante richiesta di denaro Txato non la vorrebbe pagare. Il terrorismo si sovvenzionava così, estorsioni agli imprenditori baschi e rapine. In famiglia Txato sminuisce le minacce – è ancora ’ incredulo, lui era basco- poi preoccupato manda la figlia Nerea a studiare lontano, tiene una pistola e si muove con circospezione, poi pensa di trasferire la famiglia e l’impresa, consigliato dal figlio medico, compra un appartamento a San Sebastian. Solo Bittori ci andrà perché lui muore in un pomeriggio di pioggia ucciso dalla rivoltella che Joxe Mari – era lì per questo – non ha il coraggio d’usare perché quando Txato lo vede, gli va incontro guardandolo e a quello sguardo che ricorda un’infanzia di biciclette e gelati lui scappa e l’altro complice lo farà per lui più tardi. Txato muore lì sulla strada dopo il riposino pomeridiano e un caffè freddo che non si è fatto scaldare da Bittori e lei accorsa e accasciata su quel corpo non riceve consolazione da nessuno. Da quel momento Bittori non chiederà mai più conforto a nessuno; al funerale solo due dipendenti si presentane e Txato viene sepolto a San Sebastian perché non si dileggi sulla sua tomba e dove Bittori ogni giorno andrà a conversare e a confidarsi, sempre in attesa di riportarlo al paese. Nemmeno la pupilla del padre Nerea è andata al funerale – e per questo non sarà mai perdonata dalla madre- ha un modo tutta suo per far fronte a questo dolore in un certo qual modo rifiuta la morte – piangerà solo nel vedere a Berlino il corpo d’un uomo steso sul marciapiede investito dal tram. Eviterà sempre di dire com’è morto suo padre, non vuol sentirsi etichettata né perseguitata per questo. Perché tutti considerano quelle vittime responsabili del loro destino. Anche il fratello reagisce male al lutto, si sente colpevole per non essere riuscito a portar via il padre in tempo dal paese. Colpevole dunque, espia… si chiude alla vita lascia andare l’amore – l’infermiera che Bittori ovviamente non ha mai gradito- una sola amica, la bottiglia bevuta in “solitaria”, si nega persino piccoli innocenti piaceri come mangiare più di tre caldarroste, lui non si merita niente ha un unico scopo prendersi cura della madre. Bittori accetta, non vede, non sente la loro sofferenza è chiusa in un matrimonio con il “fantasma“ Txato , “il mio corpo è tutta una cicatrice” dice , nessuna generale “Giustizia ripartiva” lei sa chi deve chiedere perdono a lei e a Txato. Ed è cosi come dirà Nerea “erano diventati tutti e tre satelliti di un uomo assassinato”. Lei finiti gli studi in legge come promesso al padre parte per la Germania, illusa dall’amore per un giovane studente e una nuova vita. Delusa ritorna ma non dalla madre; seguono anni di lavoro e amorose avventure poi …35 anni e il desiderio di famiglia e figli – purtroppo non li avrà -la sospingono verso il profumatissimo Quique in un matrimonio “aperto”, -per lui il sesso fuori dal matrimonio è solo un altro sano tipo di sport. Ma lui la ama. Ora andiamo a curiosare nell’altra famiglia la patriota Miren, sempre aspra e segalina continua a cucinare il pesce, ad andare in visita dall’amico Sant’Ignazio buon ascoltatore dove sfogarsi e richiedere protezioni familiari e patteggiamenti. Joxian tra lavoro, orto e conigli, mano sul fianco per i bicchierini di troppo vivacchia, poi un giorno Bittori gli è vicina nell’orto e gli parla, lui ne ha paura ma lei continua con visite e parole e quelle parole porteranno a trasgredire fino a condurlo, bicicletta e fiori in mano, davanti alla tomba di Txato dove Bittori l’aspetta, per chiedere quel perdono che gli alleggerirà la coscienza tra singhiozzi e lacrime liberatorie. Da quella famiglia, l’incompreso Gorka, figlio minore che amava troppo la lettura, considerata alla stregua di una malattia, appena ha potuto se n’ è allontanato. Vessato dal fratello che vuol farne un patriota più attivo., è lasciato in pace quando per la causa se ne può sfruttare l’ottimo Eusteka che scrive e ipocritamente usato per salvaguardarsi. Lui scrive poesie, non ama ne condivide quel mondo che si congratula con lui per aver vinto un premio di poesia -che nessun legge- scritto in lingua basca e i soldi da lui vinti sono obbligatoriamente infilati nel barattolo pro-Gorka scrive libri per bambini, lavora in un programma radiofonico e raramente si fa vedere e sentire dai suoi ma non sarà mai coraggioso e limpido. Sposerà il suo compagno, – è omosessuale e nella sua famiglia ciò è disgustoso solo perché questi ha il cancro, ma il tempo e la realtà levigano diversamente il pensiero e fuori del Municipio la Famiglia non invitata è li riunita con la “busta regalo” e appropriatamente vestita, ed è serenità festosa per tutti. Non c’era Mari da lunghi anni ormai in carcere in carcere, prima esule in Francia a prepararsi per la lotta armata e al ritorno la partecipazione all’assassinio di Txato poi tante uccisioni, rapine, lo hanno portato li a scontare la pena. Irriducibile, per lunghissimo tempo non si sente colpevole, è un idealista che ha combattuto per la Patria, la sua è stata una missione e lì dentro continua a fare il duro ma alla sua persona si è aggiunto l’odio per le tremende torture subite all’arresto, inflittegli ad arte per non lasciarne segni. Miren nei lunghi anni è andata a trovarlo ogni mese, ancora orgogliosa di lui e della causa, e lui tenace – ora ci sono molti pentiti – sorveglia ed è esempio per gli altri compagni. di prigionia. Ma il tempo lascia spazio ai pensieri mentre dirada i capelli e lui anche dopo l’esperienza anche fisica con una ragazza all’interno del carcere sente una mancanza, s’affacciano pensieri non voluti: “come sarebbe stata per lui bravo giocatore di pallamano l’altra strada?” Arrivano le lettere non gradite di Bittori che vuole sapere la verità di com’è morto Txato e il perdono che poi avrebbe avuto cui si aggiungono quelle di sua sorella Arantxa – che le parla di Bittori – e la foto di lei in carrozzella devastata dall’ictus, sentirsi dire quella verità: lei è prigioniera a vita senza nessuna colpa. Si smuovono e si sgretolano paletti e recinzioni ormai fatiscenti aprendo brecce che lasciano infilarsi la realtà. L’ETA ha dichiarato finita la lotta armata, la sua dunque era stata una battaglia senza senso, inutile, una guerra per niente. Ha fatto del male a tanti, alla sua famiglia e a se stesso, vuol chiedere perdono a Bittori ma desidera che non si risappia. E Bittori è così insistente vuole sapere per perdonare, ha un cancro che non gli darà lunga vita e da quando la lotta armata è finita, torna giornalmente al paese nella vecchia casa vicina a Miren. Ora è Mirren in agitazione, teme Bittori, la quale poi con l’aiuto di Arantxa riuscirà a far riavvicinare i membri delle due famiglie. Arantxa – che parla scrivendo sull’iphone- ha grande grinta, sempre leale e generosa, è felice di rinsaldare e far risorgere l’affettuosa amicizia e di intercedere presso il fratello – porta ostentatamente al polso l’antico braccialettino ora ritornatole da Xavier. Arantxa e Bittori che ormai giornalmente e affettuosamente si frequentano, aiutate da Celeste- badante gentile e comprensiva. Unico personaggio dall’intelligenza aperta, tollerante e ferma -anche muta e immobile in quel letto d’ospedale, dove è abbandonata da marito che non ama più e non condanna, anche lei avrebbe fatto lo stesso Miren vede snodare corde familiari e nulla può. Bittori è più leggera ha ottenuto quello che voleva tenendola dritta per tutti quegli anni; ha raccontato tutto a Txato e ricordandogli ora l’antica usanza di tenergli caldo il letto. Ha già dato le disposizioni funerarie alla figlia Nerea vuole essere sepolta sopra Txato e poi a tempo opportuno, trasferiti assieme al paese. In una mattina di sole, un marciapiede due donne si vengono incontro e non intendono cedersi il passo e poi succede… improvviso, breve, silenzioso, l’abbraccio e un guardarsi “un istante negli occhi prima di separarsi” un attimo che basta ad accogliere il loro reciproco dolore e conforto.

Ad ogni modo queste donne, pur così tragicamente colpite, i lettori le hanno trovate insopportabili e come madri ottuse e insensibili. Ad attenuarne il giudizio severo è la considerazione che in quegli anni l’educazione, in cui anche loro stesse si erano formate era impregnata di pudore affettivo, obbedienza e nessun dialogo intimo tra una generazione e l’altra. Gli altri familiari invece… tarpati dalle circostanze e dalle debolezze.

Ma cosa ci vuol suggerire quest’epopea familiare interconnessa e condizionata da quella
Storia che usa, sacralizzando il nome di Patria, imporre la propria visione ad altri. Oggi torniamo ad aver paura della violenza strumentalizzata anche noi, essa vuole si dimentichi che la Patria per ognuno è sì la terra Natale pregna di ricordi ma poi anche la sua terra di Vita e il legame affettuoso che sente non deve trasformarsi in violenza e fanatismo lacerante, usata molte volte per ben altri fini!

Ogni nome di Patria è diverso e uguale per ognuno di noi ma mai in suo nome si può disumanizzare e calpestare ciò che è primario per l’uomo, il rispetto per l’altro perché “Umanità” è Patria dello stesso.

 

AUTORE

Fernando Aramburu, nato a San Sebastián nel 1959, ha studiato Filologia Ispanica all’Università di Saragozza e negli anni Novanta si è trasferito in Germania per insegnare spagnolo. Dal 2009 ha abbandonato la docenza per dedicarsi alla scrittura e alle collaborazioni giornalistiche. Ha pubblicato romanzi e raccolte di racconti, che sono stati tradotti in diverse lingue e hanno ottenuto numerosi riconoscimenti. Patria (Guanda, 2017), uscito in Spagna nel settembre 2016, ha avuto un successo eccezionale e un vastissimo consenso, conquistando – fra gli altri – il Premio de la Crítica 2017. In Italia ha pubblicato Vita di un pidocchio chiamato Mattia (Salani, 2008), I pesci dell’amarezza (La Nuova Frontiera, 2007), Il trombettista dell’utopia (La Nuova Frontiera, 2005), Anni lenti (Guanda, 2018).


Genere: romanzo