01 Giugno 2017
Un libro che lascia una punta d’amaro Svegliare i leoni, della giovane scrittrice israeliana Ayelet Gundar–Goshen, vi stilla scetticismo da vite vili e/o dure quando il caso costringe i suoi protagonisti ad auto rivelarsi.
Titolo appropriato e molti i temi toccati: quanto ci conosciamo?, il caso e le scelte, la falsa intimità della coppia, le conseguenze delle insicurezze infantili, il sopruso, il razzismo, il maschilismo, lo sfruttamento, la falsa democrazia, insomma la grande ipocrisia che copre egoismo e fragilità dell’’essere umano. La scrittura è buona, chiara. La storia è insolita, ricca di colpi di scena e raccontata in modo lineare salvo l’uso -a voler chiarire la psicologia dei personaggi – di troppi estesi flashback che divagando appesantiscono il romanzo. Siamo in Israele, oggi, una giovane coppia affiatata, due bimbi, una bella villetta; lei è un attento commissario di polizia e lui un bravo neurochirurgo all’ospedale di Beer Sheva. Luogo polveroso e assolato é odiato dal Dott. Eitan Green poiché tanto lontano da TelAviv da cui è stato allontanato per punizione- Ha osato minacciare – da uomo corretto qual è – il suo “capo” per le “mazzette preferenziali” che questi intasca dai pazienti in attesa d’operazione. Dissuaso dall’andare fino in fondo dalla moglie, viene comunque spedito qui. In una notte di luna tonda però avviene, al termine di un lunghissimo turno di lavoro, un fatto increscioso: Eitan sente il bisogno di rilassarsi correndo a forte velocità con la sua nuova jeep rossa nel deserto e malauguratamente investe un “eritreo”, constatato che il disgraziato è spacciato, scappa accompagnato dalla paura…assente il rimorso. A casa nel lettone si accoccola accanto al corpo di Liat ma nulla le racconta. L’indomani sulla porta di casa una bellissima donna, Sirkit, gli consegna il suo portafoglio -è la moglie dell’investito e l’ha trovato accanto a suo marito Assum – dandogli appuntamento in una vecchia autorimessa. Lui impaurito vi si reca portando molto denaro che lei accetta, poi gli ordina di curare lì degli eritrei clandestini. E’ così che il ricatto ha inizio deve obbedire e in quel luogo dismesso – proprietà del vicino kibbutz- prende vita un incredibile sgangherato ospedale per immigrati. Eitan Green cura tra rabbia, odio e disgusto, iniziano le falsità e le bugie in famiglia e al lavoro, i furti di farmaci; vive e vede un mondo prima sconosciuto ma riprende anche un po’ di autostima è bravo e non solo come neurochirurgo, in alcuni episodi si comporta da vero discepolo di Ippocrate. Incredibilmente l’odio verso la donna che lo ricatta- Sirkit che nel frattempo è diventata un’abilissima assistente-si trasforma in una combattuta attrazione, Egli è soggiogato dalla forza che emana questa donna misteriosa dalla pelle vellutata, solo lei che “conosce” la sua parte buia e negativa.
In famiglia però s’ incrina qualcosa, i silenzi, ci si allontana in silenzio, le lunghe assenze, le bugie e Liat che di Eitan conosce e vuol solo conoscere la parte chiara teme il tradimento ma non approfondisce i suoi dubbi e quando alla fine la clinica sarà tragicamente scoperta –è lei a seguire l’indagine dell’eritreo investito- accetterà sollevata la versione di quell’eritrea dal volto tumefatto – che non denunciando il dottore l’ho ha reso l’eroico generoso medico di tanti poveri clandestini. Sirkit ormai nel campo immigrati in attesa di espulsione invece studia le mosse necessarie per rimanere in quel paese – scegliere il guardiano giusto per farsi stuprare così al processo avranno pena di lei. E il Dott. Eitan Green cosa farà di quest’esperienza che gli ha permesso conoscere quel mondo sommerso duro e sofferente e di conoscersi meglio, come da bambino il sasso che svela la terra è stato sollevato ma egli sceglie ancora di voltarsi dall’altra parte, perché il sasso nuovamente è riposto.
Un po’ sorpresi nel gruppo di lettura ci si è chiesto come mai Israele è terra d’immigrazione per gli eritrei? Accolti poi come esseri invisibili e senza volto ? “Sirkit è bellissima ma se l’incontrassi per la strada, non la degnerei d’uno sguardo” dice Eitan, solo manovalanza in nero. Una lettrice suggerisce che il seme della preferenza eritrea per la terra d’Israele nasce forse da quel lontanissimo viaggio intrapreso dalla Regina di Saba per incontrare il saggio Re Salomone.
Nella lettura del libro incuriosisce cogliere lo svegliarsi dei leoni osservando i tre protagonisti nella loro storia, nei loro caratteri e quando il caso li mostra nel loro desolante incrociarsi.
Liat, sembra una donna forte, una brava poliziotto, un segugio degli occhi con i quali capisce. Lei, soddisfatta del lavoro che ha scelto con determinazione –anche se l’incarnato la tradisce –, s’è emancipata dalla più povera e snobbata comunità sefardita. Ha investito e costruito con molta attenzione il suo solido matrimonio, la casa e la famiglia; Eitan è stato accettato “dopo una scrupolosa osservazione durata tre anni”, doveva essere sicura che le sarebbe stato fedele -suo padre se ne era andato di casa per un’altra donna- e quella ferita l’ ha resa affettivamente insicura. La sua sicurezza poggia e deriva dalla nonna-bunker -che piegava perfino i calzini- e dava a tutto un ordine certo, lei fa lo stesso, la sua casa è una fortezza, dove tutto si conosce “o si vorrebbe conoscere”, per questo si raccontano i sogni al mattino e appena si entra in casa “si depongono gli occhi che hanno visto le brutture dell’esterno” . Eppure la fortezza ha “angoli bui” in cui Lat non ha il coraggio di guardare. Suo marito dalla notte dell’incidente – lei ignara segue però il caso- è cambiato tanto e lei teme di non aver fatto con lui la scelta giusta ma i suoi occhi non vogliono indagare. Vuole quello che aveva prima. Anche lei ha i suoi silenzi, il bisogno di spazi, dove è solamente Liat, e allora ecco le piacevoli liberatorie nuotate in una “protettiva” piscina e poi pazienza se la sua sessualità nel matrimonio non è sincera. Inautenticità in cambio di sicurezza! Perciò ritroverà ancora in Eitan l’ uomo onesto che aveva sposato, il suo strano comportamento è stata la conseguenza del non poterlo essere fino in fondo –ed è colpa sua. Questo è l’uomo che vuole riconoscere ancora e non l’estraneo che era entrato nella sua casa.
Il Dott. Eitan Green non ha raccontato né mai racconterà la verità a Liat, non per le conseguenze che avrebbe comportato nel lavoro né per la posizione difficile in cui l’avrebbe messa, nemmeno per la paura di deluderla, lo fa per una specie d’orgoglio – sa che lei mai si sarebbe comportata come lui- che copre e deriva da antiche insicurezze di figlio “non preferito” lui non deve mai deludere e lo sguardo dei suoi bambini gli dicono che è bravo papà. Ha sempre cercato di comportarsi correttamente convincendo se stesso, ora dopo essere scappato lasciando l’eritreo Assum a morire da solo tutto si chiarisce: quando la mamma delusa lo rimproverava per averle taciuto il brutto voto lui sapeva già di essere una delusione ma non voleva che lei lo sapesse! E avrebbe voluto pure lui picchiare il debole compagno di scuola perché quella vigliaccheria era in realtà anche la sua. Adesso comprende che sono le scelte estreme dovute al caso l’attimo in cui ci riveliamo interamente a noi stessi. E in Eitan non c’è rimorso per le conseguenze del suo incidente ma solo preoccupazione per sé stesso, si giustifica -è una disgrazia che gli è capitata- , anche gli altri in realtà non fanno nulla per salvare le vite disgraziate di questi eritrei. Da bambino si commuoveva se vedeva un povero steso per terra, ma poi non ha più guardato e sentito ha fatto così dopo quella notte in cui ha intravvisto la brutta realtà del rapporto dei suoi .
Corre di sua volontà da Sirkit malmenata dai due che cercano la droga che Assum portava perché, l’ammira fino a credere d’amarla, mala cui realtà lo delude e al fine lo disgusta. Non vuol vedere quel mondo, non può comprenderlo troppa è la distanza tra i diseredati e chi sta nell’agiatezza in cui vige l’ipocrita suddivisione del bene e del male. E se anche alla fine va a cercare Sirkit nel campo degli immigrati illegali non va per aiutarla, va a imprigionare i suoi tratti di tigre e regina in ricordi che gli faranno talvolta compagnia. Quindi, sollevato, farà ritorno alla villetta, alla famiglia, a Liat, nessun’ altra scelta di vita, no alle altre verità che ora conosce, è meglio non farsi domande come i pesci e vivere nella quotidianità del suo solido presente.
Sirkit non ha scelto tra il bene e il male, la scelta è nella morsa della sopravvivenza. Per lei non ci sono mai state strade dritte e asfaltate ma sempre un sentiero di capre dove è incognito sia il percorso sia la meta; lei ha attraversato tanti deserti e sa che alla fine ancora quello troverà. Ricorda ormai poco il desiderio che è “il suo dottore”, adesso è solo tigre e calcola la mossa per sopravvivere. Sogna e “desidera” però i soldi che ricaverà dalla droga nascosta sotto le rose, vuole avere figli che ora vivranno, stupidi e orgogliosi come il suo dottore – l’oca stavolta non sarà spennata- anche se non avranno la necessaria intelligenza di lei che per sopravvivere ha dovuto cedere l’orgoglio. Un dubbio le rimane però conficcato nella testa. Il leone, la sua forza le è stata data dall’opportuna disgrazia del dottore oppure lei prima o poi avrebbe trovato il coraggio di ribellarsi al brutale Assum. L’ha odiato a tal punto da oltraggiarlo mentre moriva -piscio gorgogliante sulla sua faccia!- . Marito mai contraddetto che picchiava all’improvviso, non nella rabbia ma nella freddezza, e “l’amore”… aveva la brutalità dello stupro!. Meraviglioso il caso che le consentirà il rispetto intravvisto negli occhi di quel clandestino curato per merito suo da un vero dottore! E’ cosi che le movenze cambiano, la postura cambia e lo sguardo abbassato si alza tutto guarda e scopre il “desiderare”. Desidera il suo dottore, non oserà mai nulla di più. Ora in lei viene a galla la tigre-leonessa.
In tutti e tre i personaggi esce l’aspetto istintivo: in Eitan quando nasconde i suoi aspetti sgraditi a se stesso, in Liat quando non guarda gli angoli bui, la loro è sopravvivenza emotiva. L’autrice ci mostra una deludente e fragile umanità.
S’è parlato molto nel gruppo di Eitan il quale non sarebbe probabilmente scappato se avesse investito una bimba bianca invece dell’eritreo. Del razzismo in questo paese dalla costituzione democratica dove persino gli arabi israeliani hanno minori diritti civili e tengono lo sguardo basso, Liat li pensa “meno intelligenti e più rancorosi” che loro ebrei – piscine per tutti ma poi si va a nuotare in quelle esclusive; c’è velato razzismo anche tra le diverse comunità ebraiche, e poi una guerra strisciante, il servizio di leva lungo tre anni, pericoloso che porta lutti nelle famiglie; le preferenze genitoriali dei figli che lasciano dolorose conseguenze caratteriali. E ancora, ben vivo in luoghi e culture, un tremendo, traversale maschilismo: leggero tra i colleghi di Liat all’Ufficio di Polizia,. orribile nel falso “onore” beduino in cui i fratelli uccidono la sorella, una rivalsa nei due giovani arabi che sfregiano massacrano di botte Sirkit non solo perché non dice dov’è la droga ma perche li guarda troppo direttamente, loro che invece hanno dovuto abbassare lo sguardo dinanzi ai poliziotti , come osa tanto una donna? La forza bruta del maschio serve a rimetterla al suo posto . Non è da meno neanche l’eritreo Assum, marito di Sirkit, che la picchia solo perché colpevole di farlo sentire debole con la tenerezza “negli occhi di ogni moglie si deve trovare solo la solita paura” per potersi sentire sempre un uomo. È così! Donne specchio per rassicurare l’uomo della sua forza. Le donne sono solo cose come per l’annoiato Davinson che considera la soddisfazione di uno stupro equivalente allo sgranocchiare patatine in sacchetto.
Ma la domanda clou della serata ovviamente è stata : Come potremmo reagire, in una situazione del genere?
Per alcuni non è possibile un atto cosi vile, lasciare un essere morente senza aiuto e scapparne via! L’andarsene è inconcepibile, inqualificabile. Per altri pur conservando le razionali migliori intenzioni resterà sempre un’incognita . Perché non sappiamo quale verità – l’imprevista e improvvisa drammaticità di un evento – metterà in luce , quale la parte istintiva ferina di noi verrà a galla dandoci però il modo di capire chi siamo veramente.
Autore
Ayelet Gundar–Goshen si è laureata in Psicologia clinica all’Università di TelAviv. Redattrice per uno dei principali quotidiani israeliani, è attivista del movimento per i diritti civili del suo paese. È anche autrice di sceneggiature che hanno riscosso successo di critica e vari premi, tra cui il Berlin Today Award e il New York City Short Film Festival Award. Una notte soltanto, Markovitch ha vinto in Israele il Premio Sapir per la migliore opera prima.